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Lingua lessa e cervello fritto - BLOG
2006-2013 |
Blog 2014 - 2016
Indice
dei post
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Qualche giornalista
sa come si chiama Ernst von Freyberg?
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15.02.13
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Una delle notizie di oggi è la nomina di Ernst von
Freyberg alla presidenza della banca del Vaticano.
Si pronuncia "ernst fon fraiberg". E' così
difficile? Sembra di sì, ascoltando i telegiornali più
seguiti: ll "fon" diventa spesso "von"
e "fraiberg" è "freiberg". E, per
quanto riguarda la grafia, la "v" deve essere
minuscola, e non maiuscola, come scrivono moltissimi
siti web, perché von Freyberg è un nobile. La
differenza è la stessa che c'è in italiano tra il
"de" nobiliare e il "De" dei plebei.
Ho voluto verificare la grafia, cronometro alla mano: ho
impiegato esattamente trentadue secondi, consultando
qualche sito tedesco. Perché non lo fanno gli spesso
strapagati professionisti del video? Perché non si
informano? Possibile che nessuno senta il dovere - sì
il dovere - di pronunciare correttamente almeno le
espressioni straniere più comuni?
Il pubblico saprebbe che il russo Putin si chiama
Vladìmir e non Vlàdimir, che management si
pronuncia (più o meno) "mènagment" e non
"manàgment" (o, peggio, "manàggemend").
Che Deutsche Bank si legge "doicce banc"
e non "doic benc". E via discorrendo.
Post scriptum. Oggi a Le Storie - Diario
italiano Corrado Augias ha osservato che il papa non
"si è dimesso", ma "ha abdicato".
Grazie, Augias!
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L'imbarbarimentazione
dell'italiano non si ferma
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22.10.12
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Non
se ne può più. Da porre e posizione
siamo passati a "posizionare" e
"posizionamento". Muovere e movimento
sono diventati "movimentare" e
"movimentazione". I vestitini delle
bambole sono da tempo diventati
"vestizioni". Ora sento in continuazione una
pubblicità per la quale non so che prodotto
"libera una profumazione". Che, più che a
un profumo, fa pensare a un puzzo nauseabondo.
Puzzo di ottusa ignoranza vestita di sussiego.
Pubblicitari, burocrati e giornalisti pensano che
sia segno di eleganza e cultura usare espressioni
complicate al posto di parole semplici. Anche se il
significato è diverso da quello che dovrebbero
significare: "profumazione" dovrebbe essere
l'azione di profumare, come "operazione" è
l'azione di operare.
Si perdono le espressioni più belle ed efficaci
della nostra lingua, cioè della nostra cultura. Dove
è finito il semplice e simpatico avverbio gratis
dei nostri antenati? Scomparso. Sostituito
dall'orribile "gratuitamente".
E' un devastante imbarbarimento della lingua
italiana. Imbarbarimento? Basta aspettare un
po' e saremo alla "imbarbarimentazione".
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Monti ai
giornalisti: "Diamo il giusto peso alle parole"
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07.09.12
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"Non e' che per caso usate il termine vertice un
po' troppo frequentemente? Se un giorno ho un incontro
con il mio ministro per lo Sviluppo economico voi
pubblicate che si e' tenuto un vertice. Diamo il giusto
peso alle parole". Così parlò Mario Monti il 4
settembre, secondo l'ASCA.
Grazie, presidente. Una tirata d'orecchie così
autorevole ci vorrebbe più spesso (vedi Il
vertice slitta, il
debito si spalma
del
2006).
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La
sgrammatica in prima pagina
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16.02.11
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Il refuso è una bestia subdola. Si insinua di
soppiatto nel pezzo meglio scritto e più controllato.
Un deplorevole incidente che, un tempo, poteva costare
una lavata di capo all'(in)colpevole della figuraccia.
Perché una volta c'erano i correttori di bozze.
C'erano anche capiredattori, capiservizio,
impaginatori. Qualche volta persino il linotipista
metteva a posto non solo l'errore di battuta, ma anche
quello di grammatica.
Insomma, in ogni giornale c'era una catena di
persone che controllavano ciò che veniva pubblicato.
Ogni tanto qualche strafalcione, qualche subdolo
refuso, qualche (im)perdonabile distrazione deturpava
anche la prima pagina. Ma erano casi rari, che
potevano diventare aneddoti di redazione. Da
raccontare ai praticanti e ai volontari (i precari ai
miei tempi si chiamavano così).
Ma oggi c'è il giornale digitale. Ci sono
mostruosi software chiamati "sistemi
editoriali", con i quali ogni redattore scrive il
pezzo e lo mette online. Ogni notizia va in rete in
tempo reale, con tutti i rischi del caso. La qualità
dell'informazione ne risente. Ortografia, grammatica e
sintassi vengono offese in continuazione. Per fretta,
per distrazione o, purtroppo, per pura ignoranza. E'
incredibile la quantità di errori che popolano le
pagine dei quotidiani on line.
L'esempio qui sopra è tratto dalla prima pagina di
Repubblica.it, alle 16.30 di oggi, 16 febbraio
2012. Mezz'ora dopo la sgrammaticatura appare
corretta. Non succede sempre, ma qui l'errore era
troppo clamoroso per passare inosservato.
Però in altri tempi un caposervizio avrebbe anche
tolto la congiunzione "e" della terza riga,
sostituendola con una virgola.
E nella pagina dell'articolo non avrebbe fatto
passare la citazione "Illegalità, corruzione e
malaffare sono fenomeni ancora notevolmente presenti
nel Paese le cui dimensioni sono di gran lunga
superiori a quelle che vengono, spesso faticosamente,
alla luce". E' ovvio che le dimensioni sono
quelle della corruzione e del malaffare. Non del
Paese, come appare dalla costruzione del periodo,
anche mettendo a posto la virgola mancante.
Aggiornamento
delle 23.15 Sempre dalla prima pagina di Repubblica.it,
un'altra bella sgrammaticatura: "Alfano e le
tessere del PDL: nessuno irregolarità".
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Falsa e
impropria: la santabarbara
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18.12.11
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"Vero e proprio" è la coppia di aggettivi che
nei notiziari serve a sottolineare affermazioni per lo
più false e improprie. L'esempio più comune è
ritornato puntualmente nei TG di oggi: il resoconto di
un'operazione di polizia che ha portato alla scoperta di
un impressionante deposito di armi e munizioni.
"Una vera e propria santabarbara" è la
descrizione di rigore. Peccato che la santabarbara sia
il deposito di munizioni delle navi da guerra e non
contenga mai armi. La parola corretta in questi casi
sarebbe "arsenale".
E' tollerabile che nel linguaggio comune la parola
"santabarbara" sia usata per descrivere un
deposito di armi e munizioni. Ma in questo caso non può
essere "vera e propria".
Per completezza di informazione: l'espressione deriva da
Santa Barbara, la patrona degli artiglieri e dei vigili
del
fuoco.
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Perché
Minzolini non è "unilaterale"?
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05.10.11
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Ci
risiamo. Ora è l'accusa dei legali del cantante Vasco
Rossi a un sito che ha pubblicato qualcosa di
sgradito: "satira unilaterale".
L'aggettivo unilaterale è uno dei tanti che
nell'attuale melma mediatica vengono usati con un
significato del tutto negativo, come un insulto.
"La sua è un'opinione unilaterale" ha
urlato qualche sera fa un uomo politico a un
giornalista, nel corso di un talk-show.
Naturalmente era un politico dell'attuale
maggioranza, perché unilaterale è un insulto
"di destra", normalmente rivolto alla
sinistra. Un insulto a senso unico.
Come se fosse possibile, per chiunque, nutrire
un'opinione multilaterale. Però suona bene, resta
impresso. Ripetuto all'infinito, l'aggettivo diventa
un marchio d'infamia. E' la solita tecnica di
comunicazione rubata alla pubblicità: ripetere una
sciocchezza fino a quando diventa categoria di
pensiero.
Il contrario di unilaterale è pluralista.
Altro aggettivo-slogan a senso unico: Santoro non è
pluralista, il TG3 non è pluralista e via elencando.
"Pluralista" dovrebbe significare parità di
trattamento tra tutte le opinioni. Ma si può essere
pluralisti e unilaterali nello stesso tempo: basta che
le opinioni di una parte siano citate con lo stesso
rilievo di quelle della parte opposta. Rilievo che si
misura col cronometro. Però le prime possono essere
presentate in buona luce, le seconde con sottintesi
negativi. Così anche una trasmissione che appare
pluralista diventa unilaterale nella sostanza.
Prendiamo il TG1. Appare pluralista, perché
presenta sia le posizioni della maggioranza sia quelle
dell'opposizione. Anche se, cronometro alla mano,
tanto pluralista non è. Ma non è questo l'aspetto
più importante. Conta invece la linea generale,
espressa con molta chiarezza negli editoriali del
direttore Augusto Minzolini. Che sono decisamente
unilaterali.
Ma nessuno degli insultanti di professione gli
rivolge l'accusa. Dimostrando così che l'insulto è a
senso unico, va solo da destra verso sinistra. E va
bene: neanche a Minzolini si può imporre di essere
plurilaterale.
Ma un telegiornale pubblico dovrebbe essere
pluralista. E per questo ci sono diverse soluzioni. La
prima, del tutto naturale in qualsiasi altro giornale,
è cacciare il direttore che fa precipitare gli
ascolti o le vendite in edicola. Non importa se è
unilaterale o pluralista.
La seconda soluzione, in attesa che venga inventato
un solvente per la colla che lo tiene attaccato alla
poltrona, è un secondo editoriale, da affidare a un
giornalista unilaterale a tutti gli effetti, cioè
dell'opposizione. Così il TG1 sarebbe realmente
pluralista. Nessuno ci ha pensato.
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Superficialità
e ignoranza più veloci dei neutrini
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Daniele Coliva - 26.09.11
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La
notizia non è ormai più tale. Un gruppo di
ricercatori del CERN di Ginevra in collaborazione con
colleghi del laboratorio dell’INFN nel Gran Sasso ha
misurato la velocità di fasci di neutrini “sparati”
da Ginevra all’Abruzzo ed il risultato sorprendente
è stato che la velocità della luce non sembra più
quel limite invalicabile affermato dalla fisica
attuale. La verifica dei dati sperimentali appartiene
alla comunità scientifica, che darà il suo responso
a tempo debito.
Gli stessi ricercatori autori dell’esperimento
hanno comunicato l’esito del loro lavoro solo dopo
innumerevoli verifiche, secondo i protocolli in uso;
quindi, grande cautela da parte loro e onestà
intellettuale: i risultati sono a disposizione della
comunità, perché li verifichi o li falsifichi (in
senso logico, ovviamente).
Peccato, però, che la solita smania di parlare
troppo in fretta abbia esposto il titolare di un
ministero a una figura non proprio adeguata all’istituzione.
E’ più che nota la gaffe ministeriale: nel
comunicato stampa, oltre ai doverosi complimenti agli
scienziati (dispiace, ci si permetta, il ben poco
elegante riferimento al vil danaro, che suona
piuttosto come excusatio non petita), si fa
riferimento al contributo economico italiano “alla
costruzione del tunnel tra il Cern ed i laboratori del
Gran Sasso, attraverso il quale si è svolto
l'esperimento”.
Il tunnel, tutti lo sanno, non esiste. Non sarebbe
comunque inutile spiegare che: a) si tratterebbe di un
tunnel di oltre 700 km; b) dovrebbe essere
rigorosamente rettilineo, perché, essendo il neutrino
privo di carica, il suo percorso non potrebbe essere
deviato da campi magnetici, come avviene negli
acceleratori; c) avuto riguardo ai costi dell’alta
velocità ferroviaria tra Bologna e Firenze, 45
milioni di euro per un’opera del genere forse
sarebbero bastati per l’accantieramento. Ma non
divaghiamo.
La rete ha reagito da par suo, con battute di
pessimo gusto a veri e propri colpi di genio. E’ il
bello della rete, bellezza, viene proprio da dire.
Ciò che stupisce, invece, è la reazione stizzita del
Ministero, secondo il quale la polemica sarebbe
montata ad arte e priva di senso, in quanto sarebbe
ovvio che il tunnel al quale si è fatto riferimento
è quello della macchina presso il CERN nella quale
avviene la reazione dalla quale hanno origine i
neutrini che poco più di 2 millisecondi dopo sono
già al Gran Sasso.
Questa ovvietà, caro signor Ministro, non è per
nulla tale, e se equivoco vi è stato, è dipeso dalla
assoluta imprecisione linguistica del comunicato,
ancor più grave visto che si tratta del Ministero
dell’istruzione!
La frase contenuta nel comunicato è di una
chiarezza esemplare: si legge appunto della
costruzione di un tunnel tra il Cern ed i laboratori
del Gran Sasso, attraverso il quale si sarebbe svolto
l’esperimento. Poiché i romani affermavano, e a
ragione, che in claris non fit interpretatio,
la precisazione ministeriale è l’ulteriore
dimostrazione che il silenzio è d’oro.
Tuttavia, a ben vedere, la superficialità linguistica
del comunicato non si ferma a questo.
Nel paragrafo precedente al tunnel si afferma, anzi si
proclama: “Il superamento della velocità della luce
è una vittoria epocale per la ricerca scientifica di
tutto il mondo.”.
Citando un suo ex collega, non ci sto, signor
Ministro. La frase è inaccettabile, perché sottende
non solo superficialità, ma una impostazione di
comunicazione che è irriverente per la scienza.
L’esperimento in questione non faceva parte di
una gara mondiale a chi “sparasse” il neutrino
più veloce, quasi si trattasse di stabilire il record
del treno o dell’aereo più rapido. I bravissimi
scienziati che lavorano tra Ginevra e il Gran Sasso
non miravano a raggiungere una velocità superiore a
quella della luce, ma hanno osservato che i
neutrini si sono mossi più velocemente di quella che,
nella fisica relativistica, è considerato un limite
invalicabile.
In altre parole, non è stata superata la velocità
della luce, ma è stato scoperto che può
essere superata (sempre che i risultati siano
confermati e convalidati). L’utilizzo enfatico di
termini più adatti a descrivere un fenomeno
competitivo che una scoperta scientifica
tradisce uno stile lontano… anni luce dal rigore e
dalla prudenza della scienza sperimentale.
Ecco, signor Ministro, perché la polemica sul
tunnel non è strumentale; essa nasce dall’uso
approssimativo dei vocaboli, pur se la grammatica e la
sintassi non hanno riportato danni, secondo uno schema
retorico da pagine sportive. Se il tunnel di cui si voleva
parlare era la macchina a Ginevra, perché non lo si
è detto esplicitamente?
Purtroppo, è l’approssimazione di tipo peggiore,
perché implica un’approssimata contezza dei
concetti espressi con le parole. Sempre quei famosi
romani affermavano altresì che rem tene, verba
sequentur.
In questo caso, invece, sono le parole che cercano di
correre dietro ai concetti.
E non è bello.
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La lingua italiana "sversata"
in discarica
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01.11.10
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Basta, per favore! Basta con i rifiuti "sversati"
nelle discariche della Campania. Sembra che non ci
siano altri verbi per descrivere l'operazione di
vuotare i camion della spazzatura nelle famigerate,
puzzolenti aree della regione. Non c'è telegiornale
che non ci somministri, più volte al giorno,
l'orrenda parola.
In italiano i rifiuti si possono scaricare, depositare,
vuotare o anche versare. Ma non "sversare".
E' una diffusa forma di pigrizia dei giornalisti.
Si usa sempre la parola che, al momento, è più
comune. O, possibilmente, la peggiore, scegliendo tra
i perversi lemmi inventati dalla burocrazia. Non si
perde un solo secondo per chiedersi se non ci sia un
modo più corretto di dare un'informazione.
Eppure la Rai ha messo a disposizione di tutti, non
solo dei propri dipendenti, uno strumento prezioso per
verificare se le parole che si usano sono corrette e
anche come si pronunciano: è il DOP,
Dizionario italiano multimediale e multilingue d'
Ortografia e di Pronunzia, curato da Renato
Parascandolo. Dove basta un clic per ascoltare anche
la corretta pronuncia di una parola (accenti, vocali
aperte o chiuse...).
Dal DOP si apprende anche che la parola italiana
per indicare i fetidi materiali non è
"mondezza". Che, spiega da parte sua il
Devoto-Oli, significa esattamente il contrario:
"Purezza riconducibile a un concetto di
funzionalità o di efficacia, spec. di ordine
spirituale". Lo stesso dizionario ci informa che
il secondo significato della parola è proprio del
dialetto romanesco, mentre il DOP precisa il lemma
originario monnezza.
Immondizia, rifiuti, spazzature, pattume... Le
parole utili e corrette sono molte. Ma "monnezza"
è sbagliato due volte. Perché nei territori che in
questi giorni sono in prima pagina si dice munnezza.
Che forse rende meglio l'idea.
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Che cosa ha
rinviato alle Camere il presidente Napolitano?
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31.03.10
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La notizia di oggi è che il Presidente della
Repubblica ha rinviato alle Camere... Che cosa? Secondo
alcuni telegiornali e giornali on line, un "disegno
di legge", secondo altri una "legge del
governo" e via delirando. In realtà Napolitano ha
rifiutato di "promulgare" una legge approvata
dal Parlamento. Perché un disegno (o progetto) di
legge, dopo l'approvazione in seconda lettura da parte
di una delle due Camere, è "legge". Dice
infatti la Costituzione (art. 73): "Le leggi sono
promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese
dall'approvazione".
Quanto alla "legge del governo", semplicemente
non esiste. Ma fa parte di un imponente bestiario, che
va dalla confusione tra "decreto legge" e
"decreto legislativo" alla "promulgazione"
di una legge da parte di una delle Camere.
Superficialità? Pura (e colpevole) ignoranza degli
aspetti più elementari del nostro ordinamento da parte
dei giornalisti, anche di quelli del cosiddetto servizio
pubblico?
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Se un architetto ha il nome di un
quartiere
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27.03.10
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Il settimanale del TG3 del Lazio mi ha informato poco
fa che il quartiere Coppedè di Roma è stato
disegnato dall'"architetto omonimo".
Singolare coincidenza, questa di un architetto che ha
lo stesso nome del quartiere che progetta! Credevo che
il quartiere si chiamasse così perché disegnato da
Gino Coppedè.
Le improprietà di linguaggio, desolanti esempi di
cervello fritto, non mi lasciano tregua. Sfogliando a
caso l'agenda sulla quale annoto (quando ne ho la
forza...) gli strafalcioni più clamorosi, trovo
alcune perle che vale la pena di citare. Eccole.
"Il fronte della frana è esteso per xx
chilometri quadrati" (da un TG regionale del 15
febbraio scorso). Chilometri quadrati? La misura di un
fronte è lineare, non è una superficie.
"Il misuratore... il metronomo... mi dicono
che si chiama idrometro" (dal TG3 dell'8 gennaio,
quando si temeva che il Tevere straripasse). Lo stesso
giorno, ma al TG1 della sera, "le acque del
Tevere sono sotto stretta osservanza". Di quali
norme? Forse erano sotto attenta osservazione.
Sempre parlando di maltempo, il 6 gennaio il TG3
dava conto dei problemi in Umbria. E, "sempre in
Umbria, nel pesarese...". Ma Pesaro è nelle
Marche.
Vogliamo ancora parlare del costo della vita, che
"è il più basso da cinquant'anni" (da
diversi TG del 4 gennaio)? Strano che nessuno se ne
sia accorto: provate voi a fare la spesa con gli
stessi soldi di cinquanta anni fa!
Quello che è basso è l'aumento del costo della vita:
si confonde la variazione con il valore assoluto.
Ci sto prendendo gusto e vado a guardare l'agenda
dell'anno scorso. Ecco dal
TG1 del 28 dicembre 2009: "Somministrare le
multe".
E il 17, tre giorni dopo l'aggressione al presidente
del Consiglio, da Milano ci informavano che "le
tracce dell'aggressione sono ancora in corso".
Ne ho abbastanza. Ma, al momento di chiudere, mi
cade l'occhio su un appunto che riguarda il TG1 della
sera del 14 dicembre (sempre a proposito
dell'aggressione in piazza Duomo):
"Svelenare il clima";
"Calmierare il dolore".
No, non c'è nulla che possa "calmierare"
il dolore di un modesto cultore della lingua italiana.
Il dolore forse si può lenire, attutire... Ma per
calmierarlo sarebbe necessario immetterne una grande
quantità sul mercato. Troppo doloroso!
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Scienza della comunicazione?
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14.07.09
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Lingua lessa o cervello fritto? Fate voi. Difficile
trovare una comunicazione più strampalata.
I dubbi che sorgono alla lettura dell'avviso sono
diversi. Fra l'altro: come si gioca a pallone con
l'ausilio delle telecamere? E poi: quali sono i
compiti dell'ufficio tecnico dell'Università? Forse
anche quello di affiggere cartelli. Ma a scriverne il
testo dovrebbe essere qualcuno che conosce la lingua
italiana. In particolare la grammatica: "Fermo
restando eventuali...". In tempi lontani un
maestro di scuola elementare lo avrebbe segnato con la
matita blu.
Ma il vero problema è che il cartello è affisso
da tempo, bene in vista, nel piazzale interno (non nel
cortile) della facoltà di... scienze della
comunicazione!
Possibile che nessuno si sia ancora preso la briga
di farlo togliere?
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Quando le "veline" le
mandava il Minculpop
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12.05.09
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Leggendo la parola "velina" oggi tutti
pensano a qualche bella ragazza, eventualmente
"disponibile" per fare carriera in TV.
Invece per i nostri padri e nonni le veline erano i
"comunicati di servizio" che il Ministero
della stampa e propaganda (poi della cultura popolare)
inviava ai giornali per ordinare quali notizie si
dovessero pubblicare e quali no, come si dovessero
fare i titoli e via prescrivendo. Si chiamavano così
perché erano scritte su una carta leggerissima,
necessaria per mettere tanti fogli in una macchina per
scrivere.
Le veline del fascismo erano segrete. Oggi gli
ordini alla stampa si danno per televisione. Tipo: "In tv, ogni giorno, su tutti i canali, in
prima serata mi prendono per il c.... Questa abitudine
sta diventando insopportabile. Deve finire" (5
novembre 2008). Oppure: "Politici e direttori di
giornali come La Stampa e il Corriere dovrebbero tutti
cambiare mestiere, andarsene a casa" (12 dicembre
2008). Torna alla mente quello che è passato alla
storia come "editto bulgaro", quello
sull'"uso criminale della televisione" che
portò all'allontanamento di Biagi, Santoro e Luttazzi
dagli schermi della Rai. "Lavoro qui in Rai dal
1961, ed la prima volta che un presidente del
consiglio decide il palinsesto", fu il commento
di Enzo Biagi.
Come ai tempi del Minculpop, oggi i
"comunicati di servizio" arrivano al
dettaglio delle parole da usare. "Non mi piace la
parola respingimenti" ha detto ieri sera il
presidente del consiglio. Panico nei telegiornali:
come definire le azioni di ritorno forzato dei barconi
di migranti che navigano verso le acque italiane?
Il problema è che il termine non ha sinonimi utili.
Respingere, secondo il Devoto-Oli, significa
"allontanare prontamente, violentemente". E
respingimento è "energico allontanamento".
Una volta tanto una parola viene usata nel suo
corretto significato. Diversamente da
"immigrato" al posto di
"migrante", per restare in tema.
Dunque si attendono disposizioni sulla parola da
usare al posto di quella che non piace al presidente
del consiglio. Intanto si può leggere un libriccino
divertente e deprimente al tempo stesso: Le
veline di Mussolini di Giancarlo Ottaviani (Nuovi
Equilibri, Viterbo, 2008). Nel quale si possono
trovare diversi spunti di riflessione. Per
esempio: "Rivedere le corrispondenze dalla
Sicilia, perché non si deve pubblicare che il Duce ha
ballato" (18 agosto 1937). I tempi cambiano. O
no?
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Titoli verticali, orizzontali,
cervicali
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04.08.08
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Come vanno scritti i titoli sulle coste dei libri,
dall'alto in basso o dal basso in alto? Da noi vige il
libero arbitrio: ogni editore fa a modo suo. Negli
USA, invece, c'è una regola della Libreria del
Congresso che prescrive che i titoli vadano scritti
dall'alto in basso. Perché?
La ragione è semplicissima: quando il libro è
appoggiato su un tavolo, o infilato orizzontalmente in
uno scaffale, se il titolo sulla costa è scritto dall'alto in
basso, si legge dritto. In caso contrario si vede capovolto e quindi
è di più difficile lettura.
E' una considerazione così elementare che stupisce
constatare che in troppi non ci pensano. Un tipico
esempio di cervello fritto.
L'anarchia ha però un effetto collaterale positivo.
Infatti, quando siamo davanti a una libreria, per leggere titoli che si alternano dall'alto
in basso e viceversa, siamo portati a inclinare la testa da destra a sinistra e da
sinistra a destra in continuazione. Una ginnastica ottima per mantenere
giovani le vertebre cervicali e prevenire l'artrosi.
Post scriptum. C'è un'abitudine peggiore di quella
di scrivere sulle coste i titoli dal basso in alto: non metterli
affatto. E' tipico di molto saggi universitari,
ricerche e simili. Con il risultato che il tomo
riposto nello scaffale diventa presto introvabile.
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Lettere maiuscole, idee minuscole
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09.07.08
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Un rigo di testo pubblicitario, in fondo a una pagina
web: "Indietro con gli Esami? Ti Aiutiamo
chiedici Maggiori Info Online". Provoca una
specie di nausea ortografica. Perché tutte quelle
maiuscole?
L'abuso delle maiuscole è un'altra moda che
dilaga. Insopportabile come il sempre più invasivo sembra essere. Mi scrive un conoscente
avvocato: "Scusa se Ti disturbo, volevo chiederTi
se hai notizie della Circolare che dovrebbe essere stata
approvata...".
Matita blu, egregio avvocato.
Quando non è all'inizio di un periodo, la
maiuscola dovrebbe avere il senso di alzarsi in piedi
quando entra una persona di riguardo. Di conseguenza l'abuso delle
maiuscole rende l'idea di una specie di "ola" da
stadio, che a una certa età si rivela faticosa.
Nella lingua tedesca tutti i nomi iniziano con la
maiuscola. In inglese si usano spesso (ma non sempre)
le iniziali maiuscole nei titoli dei libri o degli
articoli. L'ortografia italiana è diversa e detta
regole precise: l'iniziale maiuscola si usa all'inizio di un
periodo, dopo un punto fermo, un punto interrogativo o
esclamativo. Hanno l'iniziale maiuscola i nomi propri
delle persone o dei luoghi, le altre cariche dello
stato, le istituzioni eccetera. E quando si deve
scrivere una fila di nomi che richiederebbero tutti la
maiuscola, questa va usata solo sul primo. Dunque non
"il Presidente del Consiglio dei Ministri",
ma il Presidente del consiglio dei ministri (se
ci si riferisce alla funzione, perché in caso
contrario Tizio fu presidente del consiglio dei
ministri negli anni...").
Questo vale solo per i nomi. Mai per i verbi, gli
aggettivi, gli avverbi, i pronomi. Per questi ultimi
le grammatiche prevedono una sola eccezione: il Lei della terza
persona di cortesia. Inutile salamelecco che, per
fortuna, sta andando in disuso. Mentre incombe
l'atroce "Vs." (per vostro), a volte
nella variante V/s, che induce a un ancora più raccapricciante
"Ns." (sempre con la
maiuscola, per nostro): dallo squallore della
prosa commerciale alla pochezza della lingua di tutti
i giorni.
Caro non-amico mio, non sei un
"Avvocato", come ti firmi, ma un avvocato,
un azzeccagarbugli. Non il dottor
Azzeccagarbugli di manzoniana memoria.
Le maiuscole abusive fanno pensare a quegli individui di bassa
statura che stanno sempre dritti in piedi, magari con le
scarpe taroccate, per sembrare più alti.
Forse l'abuso
delle maiuscole nello scritto può rivelare idee
minuscole nella testa...
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Terribile ritrovamento: il feto del neonato
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09.05.08
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Leggendo i giornali o seguendo i telegiornali mi
capita spesso di prendere appunti su manifestazioni
evidenti di lingua lessa o cervello fritto, con
l'intenzione di riferirvene su questa pagina.
Poi, al momento di scrivere, mi vengono i dubbi: è il
caso di "mettermi in cattedra" per
somministrare ai miei colleghi lezioni di italiano o
di corretta presentazione delle notizie?
A volte gli strafalcioni sono inevitabili.
Compaiono come folletti dispettosi nel bel mezzo di un
discorso, colpiscono a tradimento nell'urgenza della
"diretta", si insinuano subdoli nella
scrittura del pezzo.
Ma ci sono errori che non possono essere tollerati.
Sono quelli che affliggono i testi scritti in una
redazione, dove dovrebbe esserci un giornalista che
scrive e un desk che controlla prima di passare la
notizia. Sono spesso frutto di superficialità, di
disattenzione, di noiosa routine, di mancato
rispetto del lettore/ascoltatore/telespettatore.
Un esempio è dato dall'imprecisione delle notizie
relative alle statistiche. Si dice che il fatturato
di un certo settore industriale è di X milioni
l'anno, l'Y per cento costituito dal prodotto 1 e Z
milioni dal prodotto 2: si dovrebbero fare i conti
per capire se il prodotto 1 è più venduto del
prodotto 2, roba da Settimana enigmistica.
Oppure si dice che il PIL è del 2 per cento:
espressione senza senso, perché "il PIL è
aumentato del 2 per cento", e poi si dovrebbe
aggiungere rispetto a quale riferimento.
Ma ci sono casi in cui l'errore colpisce come una
mazzata. Eccone alcuni dai miei appunti:
Prosegue imperterrita la produzione di botti
(TGR Lazio delle 14.00 il 24 gennaio 2007).
"Imperterrita"? L'aggettivo significa
"di persona che ostenta indifferenza e
insensibilità" (Devoto-Oli). Dunque imperterrito
può essere il produttore, non la produzione.
Agenti di custodia cautelare (da un TG,
l'appunto è incompleto). Ci sono anche gli
"agenti di detenzione" e magari anche gli
"agenti di ergastolo"?
Enormi cumuli di pattumiera (TG3, alle 14.38
del 28 dicembre 2007). Più probabile che
fossero "enormi cumuli di pattume". A
proposito: mondezza non è buon italiano, è la
trasformazione del romanesco "monnezza". In
italiano si dice "immondizia" e a Napoli,
per la cronaca, "munnezza".
Ma l'ultima è terribile: E' stato trovato il
feto di un neonato dell'età di quattro-cinque mesi
(Sky TG24 delle 13, il 7 maggio scorso). Se è un
feto, non è ancora nato. Se è nato, non è più un
feto...
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"Sembra essere" uno
strazio della lingua
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06.02.07
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Il congiuntivo è in crisi. E non da oggi. Questo modo
verbale consente efficaci sfumature espressive, aiuta
a distingue la realtà dall'ipotesi, addolcisce le
affermazioni più drastiche. Ma richiede anche una
padronanza sintattica che non è di tutti,
specialmente quando si accoppia con l'ancora più
ostico condizionale.
"Mi sembra che la coalizione è solida",
dice il politico in TV. E non si capisce se per
goffaggine autentica, per cercare di non parlare
in modo diverso da quello di molti suoi elettori o,
con improbabile astuzia, per dare al suo discorso un tono
più deciso di quello che risulterebbe dal congiuntivo
"sia".
E fin qui va bene, o facciamo finta che vada bene,
accettando la forma popolare. Quello che non va bene
è il sempre più imperante "La coalizione sembra
essere solida". E' atroce.
Il doppio ausiliare colpisce come un proiettile di
saccente cafonaggine espressiva. Anzi, come una
raffica di proiettili, perché ormai si è diffuso su
ogni mezzo di informazione, dal programma televisivo
più "nazional-popolare" all'informazione
stampata di tono più alto.
"Sembra essere", con altre analoghe
espressioni, è un modo per schivare i rischi del
congiuntivo? Forse. Certo, non è sbagliato. Ma
comunque è un intollerabile peso morto aggiunto al
discorso e in molti casi ne annulla l'efficacia.
"Mi sembra che tu sia scemo" è un modo
corretto e gentile per insultare qualcuno, con la
grazia del congiuntivo.
"Mi sembri scemo" è più diretto,
onestamente offensivo, con l'efficacia
dell'indicativo.
Ma chi si offende sentendosi dire "Mi sembri
essere scemo"?
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Lo scanner non serve a scannare
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02.10.06
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L'adozione di parole straniere in molti casi
arricchisce la lingua, soprattutto quando non esiste
un esatto equivalente italiano. Marketing, per
esempio, è un termine che si dovrebbe tradurre con
una perifrasi e quindi ci fa comodo, perché aiuta a
esprimere velocemente un concetto.
In altri casi ci sarebbe l'equivalente italiano di
termini inglesi, come
per computer e scanner. Anche qui, per
uso comune, i termini stranieri entrano senza
problemi nella lingua parlata e scritta.
Però in qualche caso dal figlio adottivo della
lingua nascono mostri, come l'ormai diffuso quanto
orribile "scannerizzare".
Qui la traduzione esatta e gradevole c'è:
"scandire". Infatti il termine scanner
deriva dal verbo inglese to scan, che significa
appunto "scandire" ed ha lo stesso
significato: analizzare, separare gli elementi che compongono un
insieme (scandire le parole, scandire il tempo). Lo
scanner, come tutti sanno, serve proprio ad analizzare
uno per uno, cioè a scandire, i punti che compongono un'immagine.
Costruire un infinito in italiano partendo dal
termine inglese ("scannerizzare"), e per di
più coniugarlo ("scannerizzato") e
ricavarne ulteriori derivati ("scannerizzazione")
dà fastidio all'orecchio quando si ascolta e
all'occhio quando si legge (vedo ora che anche il
correttore ortografico segnala anomalie). Qualcuno
ritiene più elegante "scansire" e "scansito",
che rappresentano il grado più atroce di corruzione
della lingua.
Perché "scandire", "scandito",
"scansione" sono le parole giuste, esprimono
perfettamente i relativi concetti, suonano bene. Tranne
nei casi in cui l'apparecchio non funzioni bene e
rovini le immagini: solo in questo caso si può dire che serve a
"scannare", con l'efficacia del linguaggio
figurato.
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Il vertice slitta, il debito si
spalma
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07.09.06
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Spalmare o non spalmare... la Nutella? Il burro? La
marmellata?
Niente di tutto questo: i politici, e i cronisti che ne
riportano le parole, discutono del debito pubblico,
degli aumenti salariali e di quant'altro potrebbe
essere distribuito, diviso, suddiviso,
frazionato, spartito, scisso...
"Spalmare" è l'ultima locuzione perversa
entrata nel linguaggio giornalistico, soprattutto radiotelevisivo, con
un'invadenza pari alla sua inutilità. La ricchezza
verbale della lingua italiana offre una lunga serie di
espressioni molto più adatte a rappresentare le
diverse sfumature dei concetti che si vogliono
esprimere. "Spalmare" è una forma di linguaggio
figurato. Ma il
linguaggio figurato è efficace al momento giusto, una
tantum. Quando diventa abitudine non ha più la
potenza espressiva della metafora, è solo un segno di
pigrizia mentale.
L'infame "spalmare" ha un precedente
ormai consolidato: "slittare". Slittano le
scadenze, i termini per l'entrata in vigore delle
leggi, i divieti e qualsiasi altro evento che si
potrebbe rinviare, differire, rimandare,
aggiornare, fino a procrastinare
e prorogare (verbi pericolosi per chi non ha
una "r" impeccabile).
Dunque tutto "slitta". L'asfalto delle
cronache è coperto da una viscida lastra di ghiaccio
che fa perdere alla lingua l'equilibrio. Slittano, in
particolare, i vertici. Quali vertici? Quelli che gli ignavi della parola
ci raccontano in continuazione per descrivere incontri,
riunioni, convegni, conferenze, appuntamenti,
abboccamenti.
Tutto è incominciato, se la memoria non mi
inganna, con il primo storico "incontro al
vertice" tra Kennedy e Khruščёv.
Allora l'immagine della vetta fu efficace per
descrivere il livello dell'evento. Oggi si parla di
"vertice" anche quando sarebbe più giusto
il termine un po' dispregiativo di conciliabolo.
Nel
politichese di oggi si annuncia un vertice per
decidere come spalmare il rientro dal deficit. Ma il
vertice slitta. Se fosse il risultato di una
traduzione automatica, uno scherzo da software,
sarebbe esilarante.
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Dove sono i cantieri del far
niente? |
01.08.06 |
"Rallentamenti a causa di un cantiere di
lavori". Una frase che si
ripete con costanza ossessiva
in tutti i bollettini sul
traffico. Un pleonasmo inutile
e irritante: non ci possono
essere cantieri sulle strade
per motivi diversi dai lavori.
E' vero, con linguaggio
figurato si può parlare di un
"cantiere musicale"
di un "cantiere di
idee". Ma questi non rallentano
il traffico
Viene voglia di cercare un
cantiere del far niente, del
dolce far niente.
I brutti pleonasmi riempiono
i notiziari radiotelevisivi.
Quanti "giovani
ragazzi" sono coinvolti in
questa o quella vicenda
(possibilmente
"sconcertante")? E
quanti "guasti
tecnici" sono causa di
sciagure varie?
E' sempre in gran voga
un'altra espressione
pleonastica, che rivela anche
una mancanza di informazione abbastanza
grave per chi ogni giorno si
misura con la cronaca:
"reato penale". Un
reato è un illecito penale,
non esiste un reato civile o di
altra natura (per la
precisione: i reati possono
essere solo delitti o
contravvenzioni; queste ultime
non devono essere confuse con
gli illeciti amministrativi,
come le violazioni del codice
della strada).
E posto che parliamo di
diritto, ecco un altro pleonasmo, molto
in uso anche al di fuori
dell'informazione
giornalistica: "comodato
d'uso" (o anche
"comodato gratuito" o
"comodato d'uso
gratuito".
La parola "comodato"
significa appunto
"prestito d'uso a titolo
(quasi sempre) gratuito", quindi ogni
specificazione è fuori luogo.
Conclusione. Mi farò dare
in comodato d'uso gratuito
un'amaca, per passare un po' di
tempo in un cantiere del dolce
far niente ed evitare così
qualsiasi occasione di
commettere un reato penale.
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Incendio burocratico
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28.07.06
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Forse molti incendi di boschi,
campi e macchia mediterranea potrebbero essere evitati se
nelle zone a rischio si
mettessero cartelloni
"pubblicitari" di
grande impatto, con scritte
tipo: "Non gettare via la
cicca accesa" o "Non
accendere il fuoco qui: basta
una scintilla per incendiare il
bosco".
Invece
la Provincia di Roma ritiene di
fare il suo dovere per la
prevenzione degli incendi
piazzando qua e là cartelli
come questo. Nel quale si legge
che "Sono vietate tutte le
azioni determinanti l'innesco
di incendi ai sensi all'art. 11
- comma 3, lettera e) della L.
n. 394 del 06.12.1993"
eccetera eccetera.
"I trasgressori - si
legge ancora sul cartello -
saranno puniti ai sensi
dell'art. 30 - comma 1..."
e via elencando, per un totale
di sette riferimenti
normativi.
Riferimenti incomprensibili
a chi non si prenda la briga di
andare a cercare i
provvedimenti citati
(operazione difficilissima in
Italia). A occhio e croce il
tutto dovrebbe significare che
chi accende un fuoco paga una
multa. Se poi il bosco brucia,
è tutta un'altra faccenda.
L'Italia è piena di divieti
stupidi, che non colgono e non
fanno cogliere la sostanza
delle azioni. Per esempio, sui
marciapiedi delle stazioni
ferroviarie si legge un avviso:
"E' vietato oltrepassare
la linea gialla" Vietato?
E qual è la sanzione?
Sarebbe più corretto ed
efficace scrivere "E'
pericoloso oltrepassare la
linea gialla. Potreste finire
sotto il treno!".
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Monitorato il test: tilt! |
26.06.06 |
La lingua cambia, nuovi termini entrano nell'uso
comune, altri diventano a poco a poco vecchi, desueti.
Molte parole straniere diventano di uso quotidiano:
computer, scanner, premier (ma il nostro presidente
del consiglio non è un "premier", cioè un prime
minister...).
Tutto questo è bene, la lingua è viva, si evolve.
Purtroppo però in molti casi
l'italiano si evolve col passo
del gambero, cioè si involve, si impoverisce. Succede
quando si usano troppo spesse parole straniere al
posto di termini italiani che vogliono dire la stessa
cosa. Anzi, in qualche caso la parola straniera
sostituisce diverse espressioni della nostra lingua.
Così le sfumature si perdono, il discorso perde efficacia.
E' il caso di "monitorare", brutto
neologismo costruito sull'inglese monitor, che
significa, in particolare, "dispositivo di
controllo". Niente di male se la parola originale
viene usata per indicare il video del computer o uno
schermo di controllo delle emissioni televisive. Ma
non è il caso di monitorare il traffico, o il livello
di prestazione di un servizio, o il funzionamento di
una macchina, quando si può controllare, verificare,
osservare. O, con maggiore precisione, mettere
o tenere sotto controllo. I mostri generano
altri mostri: da "monitorare" a
"monitoraggio" il passo è breve e
straziante.
"Monitorando" il traffico si può vedere
che è "in tilt". Invece di dire che è lento,
congestionato, bloccato. "Sistemi
di monitoraggio in tilt", per dire che i
controlli non funzionano. Per di più il termine
è usato con un significato del tutto improprio,
perché il verbo inglese to tilt significa
inclinarsi, piegare, pendere (l'uso in italiano viene dalla
scritta che appare sugli schermi dei flipper: "TILT"
vuol dire che il gioco si è fermato perché il
giocatore ha cercato di influenzare il percorso della
pallina inclinando l'apparecchio oltre il limite
consentito).
Provare per credere. Anzi, fare il
"test". Altro anglicismo inutile, visto che
abbiamo l'equivalente prova, con in più
le possibilità, a seconda del contesto, di verifica
e controllo.
Si incomincia a usare i termini stranieri per
voglia di mostrarsi aggiornati, moderni, colti. Si
continua per pigrizia mentale. E il linguaggio diventa
sempre meno articolato, la comunicazione scade.
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Il lucernario olimpico |
07.06.06
(scritto il 9 dicembre
2005) |
Dalla Grecia all'Italia la
fiamma olimpica non è arrivata
via mare, magari su una nave a
vela. Sarebbe stato bello.
Il fuoco di Olimpia è arrivato
in aereo. Strano, ho pensato
quando ho sentito la notizia,
perché deve essere difficile
trovare un comandante che
consenta il trasporto di una
fiamma libera sull'aeromobile.Ma i telegiornali Rai,
ripetendo l'informazione in
diverse edizioni, ci hanno
spiegato la soluzione: la
fiaccola, hanno detto, è stata chiusa in un
"lucernario".
Lucernario? Come si fa a
chiudere una fiamma in un
lucernario?
Dal mio vecchio Devoto-Oli:
"Lucernario
Copertura a vetrate, atta a
fornire un'opportuna
illuminazione o anche areazione
ad ambienti interni per lo più
di notevole ampiezza".
Le
immagini dei servizi spiegano il mistero:
la fiamma olimpica è stata
trasportata in una
"lampada di Davy". Si
tratta di una lanterna a olio
inventata nel 1815 dal chimico
inglese Sir Humphry Davy
(1778-1829), per risolvere il
problema delle esplosioni nelle miniere di
carbone,
causate dalla fughe di grisou.
La lampada di Davy, grazie a
una reticella metallica, evita
il contatto diretto della
fiamma con la miscela
esplosiva. Si sviluppa solo una
piccola luce azzurrina, che
avverte i minatori del
pericolo. La lampada di Davy è
ancora in uso sulle
imbarcazioni, perché è
robusta e sicura.
Tutto qui, una piccola notizia
"a margine". Nessuno
obbliga un giornalista a
conoscere una lampada di Davy e
la sua storia, ma forse
l'organizzazione poteva
inserire una nota nella
cartella stampa. O il collega
poteva informarsi.
D'accordo che la lampada di
Davy è un'evoluzione delle
antiche lucerne a olio. Ma
dalla lucerna al lucernario il
salto è troppo lungo.
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