I "portoghesi"
del download non danno alcun valore alle opere che scaricano
abusivamente e non le sentono/guardano/leggono neppure. Chi è
interessato a un'opera la compera regolarmente.
In cerca di commenti sulla nuova edizione di Spaghetti
Hacker mi sono imbattuto in alcuni messaggi pubblicati su
un forum
di studenti universitari fiorentini, che si scambiano
suggerimenti e impressioni sulle loro letture. Parlando -
anzi - scrivendo di Spaghetti Hacker, l’utente “Llewlyn”
risponde all’utente “Soniko” che forniva indicazioni
bibliografiche sul mondo degli smanettoni in questo modo:
> "Spaghetti hacker,
l'underground digitale italiano. Storie, tecniche e
aspetti giuridici" di S.Chiccarelli e A.Monti Davvero
bello e interessante!!
Se ti è piaciuto prova a leggerti "Hackers - Eroi
della rivoluzione informatica" di Steven Levy, edz
Cyberpunk (credo), è fatto molto bene e inquadra la scena
dell'hacking da un punto di vista "globale",
molto diverso da ciò che il Monti descrive sulla scena
nostrana.
A sua volta, "Soniko" risponde:
> Grazie per
l'informazione! Beh, ora finisco di sklerare con
calcolatori, finisco "spaghetti" e me lo
compro!!
“finisco “spaghetti” e me lo compro”. Mica “finisco
“spaghetti” e me lo scarico”, oppure “qualcuno sa
dove trovarlo piratato?”; l’utente “Soniko”
considera evidentemente acquistare un libro che gli
interessa la cosa più normale del mondo, e non si pone
manco per sbaglio il problema di NON pagarlo.
Come scrivo da tempo, dunque, la fruizione “portoghese”
di opere protette dal diritto d’autore dipende dal
rapporto fra - in questo caso - lettore e valore
attribuito all’opera. Se il (potenziale) lettore
attribuisce “valore” al libro, lo compra pur potendo
averlo copiato - su carta o in digitale.
Con delle specificità che valgono solo per i libri:
non si possono mettere in sottofondo e la loro fruizione
“dura” ben più dei tre-quattro minuti di un pezzo da
hit-parade. Esiste quindi un disincentivo strutturale e
culturale nel leggere alla “portoghese”. E per i libri
è ancora più falso che impedendo la copia di opere
protette non si potrebbe che comprare gli originali.
In altri termini, non è affatto detto che chi copia,
non potendo più farlo, sicuramente acquisterebbe l’opera
che sta “piratando”. E d’altra parte, basta
riflettere sulla bulimia informativa che caratterizza il
download di materiale digitale: giga, se non terabyte di
musica, film, libri, fotografie e tutto ciò che è
digitalizzabile che nessuno, mai, utilizzerà nemmeno se
rimanesse attaccato al computer ventiquattro ore al giorno
per tutta la vita, ascoltando musica con un film
proiettato su un angolo dello schermo, un ebook dall’altro
lato e uno slideshow di immagini in basso.
L’esempio dello studente fiorentino - che ovviamente
ha un valore puramente empirico - è però la
dimostrazione che la migliore forma di protezione della
cultura è la cultura stessa. Una persona sensibile al
valore di un’opera, semplicemente, non si pone il
problema di copiarla abusivamente. E chi copia
abusivamente non pagherà mai ciò che sta
leggendo/ascoltando/vedendo.
Dunque, nel mercato dei libri liquidi, l’unica forma
di DRM che realmente può funzionare è dare fiducia ai
lettori, accettando il fatto che un certo numero di
persone approfitteranno ingiustamente di un atto di
fiducia nei confronti di persone in buona fede.
E, tanto per dimostrare che non si tratta solo di
teorie, da editore ho scelto di pubblicare gli ebook sui
quali ho i diritti senza nessun DRM, nemmeno di tipo “social”.
Perché ritengo più corretto agevolare i lettori onesti
piuttosto che danneggiare la loro esperienza di lettura
con orpelli tecnologici che li trasformano - loro malgrado
- in delinquenti presunti.
* Monti&Ambrosini
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