Le tecnologie offrono la
possibilità di un insegnamento personalizzato. Invece si
continuano a imporre i contenuti degli editori scolastici, che
cambiano con una velocità incompatibile con la fissità delle
materie di cui trattano.
Mi sono sempre sentito a disagio con l'approccio
francese che impone la prevalenza della lingua nazionale
su quelle straniere ("numerique" e non "digital",
"ordinateur" e non "computer", "reseaux"
e non "network"). Ma leggendo l'allegato al
decreto ministeriale sui libri digitali, infarcito di LIM,
storytelling, player, open educational resoruces,
framework, e poi tablet, hardware, software,
netbook, privacy viene da pensare che oltralpe non
abbiano (avuto) tutti i torti.
Al di la del barbaro aspetto linguistico del testo
normativo, tuttavia, è quello sostanziale che lascia
profondamente perplessi. Ancora una volta si confonde il
mezzo con il fine e si pensa che l'introduzione
dell'elettronica nella didattica risolva i problemi della
scuola pubblica che, invece, sarà ulteriormente affossata
da questa riforma.
Come ho potuto verificare personalmente durante i miei
anni di insegnamento, il problema del rapporto fra
informatica e insegnamento non è tecnico, ma culturale.
Insegnare significa conoscere l'argomento oggetto della
lezione, veicolare informazioni nei modi più adatti agli
interlocutori, ma soprattutto avere l'attitudine a
stabilire una relazione empatica con gli studenti.
Dei tre requisiti, il più importante è l'ultimo
perché, se lo studente ha poca stima del maestro - o,
più semplicemente, non lo "riconosce" come tale
- difficilmente sarà disposto ad accettare le nozioni che
gli vengono propinate. E poco importa che ciò accada con
la tradizionale "lezione frontale" o con gli
effetti speciali da videogioco delle famigerate
"lavagne interattive multimediali".
Pensare che l'interesse continuativo degli studenti -
specie nella scuola primaria - possa essere suscitato da
un mega-tablet è semplicemente sbagliato. Eppure, quando
in apertura del corso chiedevo invariabilmente “Secondo
voi a cosa serve l’informatica nella didattica?” la
risposta era - invariabilmente - “a rendere interessanti
le lezioni”. E quando chiedevo quale fosse l’obiettivo
che loro si prefiggevano come insegnanti, la risposta più
gettonata era un desolante “finire il programma”.
Usare strumenti senza la consapevolezza di quello che
sono in grado di fare è sbagliato didatticamente e
pedagogicamente perché "insegnare" mettendo in
ombra la figura del maestro a vantaggio di quattro
immaginette in movimento significa rompere il legame
docente-discente che specie nei primi anni della
formazione di un bambino è essenziale.
E' sbagliato economicamente perché i costi
dell'introduzione nelle scuole delle famigerate LIM e di
tutti i parafernalia che vi ruotano attorno sarebbero
meglio destinati se servissero a comprare carta igienica,
sapone e cibo - o a pagare insegnanti di ginnastica e
musica -
invece di chiedere ai genitori il "contributo
volontario - obbligatorio" per "integrare"
le risorse scolastiche.
Il che, in cauda venenum, introduce la questione
dei "libri digitali".
Durante gli anni di insegnamento ho mostrato ai miei
"studenti" (laureati, già immessi nel circuito
delle supplenze) come con poche conoscenze basilari di
HTML e di come funzionano i software di comune utilizzo
nella rete (mailing-list, newsgroup, chat
ecc. ecc.) fosse possibile creare tutti i supporti
didattici necessari (lezioni, test di verifica, materiale
per i ragazzi che devono recuperare lezioni o intere
materie ecc. ecc.). Il tutto, usando software aperti e
hardware poco esosi in termini di costi e risorse.
Avevo anche spiegato loro come trovare buoni computer a
costo zero - basta chiederli alle aziende che, per ragioni
fiscali, periodicamente devono rinnovare il proprio parco
informatico.
Dunque, riassumendo, con un po' di sforzo avrebbero
potuto produrre, gratis perché avrebbero dovuto e potuto
farlo direttamente loro, "libri" digitali che
girano su computer ricevuti in donazione da aziende che
non se ne fanno più niente.
Minime spese per le scuole, e quasi nessuna per gli
studenti. Invece, grazie all'approccio scelto dal
Ministero, continueremo a pagare per i libri di testo
(poco importa che siano di carta oppure no), per
l'acquisto di computer e di costose manutenzioni, per
mettere il tutto nelle mani a persone - gli insegnanti -
culturalmente inadeguati.
Se, infatti, le tecnologie dell’informazione possono
offrire un’opportunità alla didattica, questa è
proprio la possibilità di creare un insegnamento
personalizzato, in cui ciascun insegnante può realmente
applicare il precetto costituzionale della libertà di
insegnamento delle arti e delle scienze. Invece - e questa
è l’inadeguatezza culturale o, peggio, la pigrizia
mentale - di continuare, supinamente, a veicolare i
contenuti prodotti dagli editori scolastici che, non ne ho
mai capito la ragione, cambiano con una velocità del
tutto incompatibile con la fissità delle materie di cui
trattano.
* già docente di Teoria dei sistemi
informatici applicati alla didattica del diritto nella
Scuola di specializzazione per l'istruzione secondaria
delle università di Chieti e Teramo
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