Da noi il prezzo di ogni
libro di carta è fissato dall'editore e il libraio può fare
uno sconto. Come mai un ebook ha sempre lo stesso prezzo,
chiunque lo distribuisca? Il modello "agency" si
presta ai cartelli. E il consumatore paga.
La tecnologia sta amplificando problemi che sino a non
molto tempo fa costituivano eventi marginali e ben poco
avvertiti dalla generalità del pubblico di utenti e,
soprattutto, da quelle che chiamiamo
"Autorità". Il software in un primo tempo e
poi, prepotentemente, la musica e il video hanno posto il
la questione del rapporto tra una tecnologia che consente
una diffusione e possibilità di rielaborazione (il
cosiddetto "Remix" di Lessig) e il sostanziale
monopolio attribuito dalla normativa sul diritto d'autore.
Non si tratta solo dell'internet e della sua pervasività
sfuggente, ma anche della comparsa di oggetti, che taluno
chiama "gadget", che hanno alterato le
tradizionali modalità di fruizione delle opere. Un nome
per tutti: iPod. Un produttore di computer è entrato in
due settori totalmente estranei e li ha rivoltati
completamente, costringendo gli altri a reinventarsi a
loro volta.
Ciò che ha differenziato l'avvento di Apple non è stato
solo l'hardware, ma il software circostante; non il
sistema operativo, ma il modello di business: la
strettissima integrazione tra hardware e contenuti. Poiché
il margine di guadagno sul primo è molto elevato, legare
i secondi a questo significa vendere più hardware, dando
luogo ad un movimento circolare che sembra quasi
avvicinarsi al moto perpetuo, a guardare ai dati di
vendita.
Il libro era la necessariamente “decima vittima”, ora
che la sua trasfigurazione digitale sta acquisendo una
quota di mercato apprezzabile, grazie all’impatto di
Amazon. In questo settore, tuttavia, il percorso è
stato diverso rispetto alla musica. Dal momento che il
mercato di distribuzione della versione tradizionale del
prodotto era ben strutturato e costruito, le attenzioni
regolatrici si stanno focalizzando sui profili
macroeconomici della filiera, e non sugli aspetti “micro”,
quali la pirateria (che rimane comunque una questione
sempre in primo piano). La notizia è dei giorni scorsi:
dopo l’UE, anche il Dipartimento di Giustizia degli
Stati Uniti sta ipotizzando un’azione antitrust nei
confronti di alcuni editori (e non solo), ritenendo che
costoro abbiano costituito un cartello per mantenere
artificiosamente alto il prezzo degli ebook. E’
opportuna una precisazione preliminare: in Europa il
meccanismo della tutela antitrust opera mediante un’autorità,
il Commissario alla concorrenza in questo caso, che
istruisce il caso e poi la Commissione decide. L’impresa
eventualmente sanzionata potrà impugnare il provvedimento
davanti gli organi di giustizia comunitaria. L’autorità
antitrust italiana opera secondo il medesimo schema. Negli
USA, invece, l’azione antitrust è oggetto di una causa
in senso stretto promossa dalla Divisione Antitrust del
Dipartimento di Giustizia davanti ad un giudice federale,
per la violazione dello Sherman Act. Due modelli
completamente diversi; non è questa la sede per
esaminarne i rispettivi pro e contro. Il punto nodale
della controversia è rappresentato dallo schema
contrattuale intercorrente tra l’editore e il
negoziante: il rapporto tra Amazon e gli editori era
costruito sullo schema del c.d. Wholesale (ingrosso)
model, in base al quale Amazon era libera di vendere
al prezzo ritenuto più opportuno, e quindi anche di
ridurre il suo margine di guadagno, finanche azzerandolo o
vendendo in perdita, al fine di promuovere il suo ereader. Il
claim originario, infatti, della società di Jeff
Bezos era “tutti gli ebook a $9.99”. Gli editori non
erano in realtà molto soddisfatti, dal momento che il
divario con le ben più costose edizioni cartacee, specie
rilegate, influiva negativamente sulle loro vendite.
Lo schema più gradito all’industria editoriale era
quello del cosiddetto Agency model, nel quale l’editore
fissa il prezzo di vendita al cliente finale e il
negoziante incassa una percentuale fissa, solitamente il
30%. Questo fu ciò che Apple offrì agli editori quando
aprì l’iBooks store, in analogia con quanto
succedeva per la musica e le applicazioni. In questo
modo gli editori mantenevano il controllo sull’aspetto
fondamentale, potendo evitare cannibalizzazioni dell’edizione
cartacea da parte di quella elettronica. Amazon fu in
qualche misura costretta ad adeguarsi a questo modello,
pena la riduzione del catalogo a sua disposizione (la
storia è raccontata in questi termini con le parole di
Jobs nella biografia di W. Isaacson). Non a caso, nelle
pagine delle versioni per Kindle dei libri in vendita su Amazon.it
compare chiaramente la frase “Questo prezzo è stato
fissato dall’editore”, e un rapido confronto con
altri negozi online di vendita di ebook mostra la totale
uniformità dei prezzi, anche nelle campagne promozionali. In
Italia, peraltro, il prezzo di vendita di un libro è
fissato dall’editore, obbligatoriamente; la differenza
la fa il singolo dettagliante che estemporaneamente
applica uno sconto più o meno rilevante, ma mai superiore
al 15%, tuttavia sempre al suo buon cuore o a simpatia. L’arrivo
della grande distribuzione nella vendita dei libri ha
cambiato un poco le cose, con sconti maggiori, ma l’influenza
è nulla paragonata alla distribuzione online. Le
attenzioni dell’autorità regolatrice è incentrata sul
modello di agenzia, proprio per la sua maggiore idoneità
a dar luogo a pratiche di cartello, pur non essendo più
vietato dal 2007 negli USA la fissazione da parte del
produttore di un prezzo obbligatorio di vendita al
dettaglio. Dal punto di vista del consumatore finale, è
evidente, il modello di agenzia è quello meno rispondente
alle sue esigenze, in quanto elide dalla
commercializzazione la fase del dettaglio, i cui
componenti agiscono come meri “messaggeri” della
volontà altrui, senza alcun potere di intervento. Ovunque
si rivolga, il cliente finale troverà lo stesso prezzo e,
se questo sarà stato frutto di accordi nascosti tra
coloro che fissano a loro volta il prezzo, parlare di
concorrenza e libero mercato sarà un mero esercizio
nominalistico. Ancora una volta, un’industria antica,
di lunga tradizione, dimostra la sua incapacità di
afferrare al volo le potenzialità del nuovo strumento di
diffusione dei prodotti culturali e concentra le strategie
non sull’incremento di diffusione del prodotto, ma su
come spremere al massimo il singolo prodotto. L’ebook,
pur non avendo il fascino materiale e tattile della carta,
ha caratteristiche tali da permettere un ampliamento
enorme dell’offerta. Costi di produzione ridotti, oneri
di distribuzione modestissimi permetterebbero agli editori
di ripubblicare l’intero loro catalogo, comprese quelle
edizioni esaurite che oggi si trovano – forse – nel
mercato dell’usato e che invece chiunque potrebbe a
poco, anzi, al giusto prezzo procurarsi. Inoltre, gli
spazi domestici sono sempre più ridotti, e un ebook ha un
ingombro solamente virtuale. Sarebbe possibile farsi in
casa una biblioteca sterminata, senza dover traslocare per
collocare le nuove acquisizioni (i libri non si buttano,
mai!).
Vuoi vedere che alla fine è l’industria edilizia che
rema contro l’ebook?
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