Ancora l'America nel secondo romanzo di Guido Mattioni. "Soltanto il cielo
non ha confini", Ink Edizioni.
C'è un confine nella storia. E' quello tra gli Stati Uniti e il Messico,
segnato dal
Rio Grande, il fiume che gruppi di latinos clandestini attraversano di notte
verso il miraggio americano. Da una parte Ciudad Juàrez, "dove un'umanità
disperata finiva per spiaggiarsi nell'attesa di trovare il momento giusto e i
soldi - soprattutto i soldi, con qualsiasi mezzo - per varcare il confine in una
notte senza luna", scrive Mattioni.Sull'altra riva "El Paso, la periferia dell'America… una città
triste, indolente, talmente indolente da non riuscire nemmeno a essere
pericolosa… ".Tra questi due luoghi, non tanto immaginari, si snoda la storia raccontata
in Soltanto il cielo non ha confini. Un
romanzo vero, percorso da
una tensione continua. Diversa, meno interiore e trasognata da quella del primo
libro di Mattioni, Ascoltavo
le maree, ma capace lo stesso di stregare il lettore dalla prima
all'ultima pagina.
In comune i due libri hanno una forte tecnica narrativa, e soprattutto,
una prosa ricca, un italiano perfetto di grande efficacia suggestiva. E tuttavia
rapido, essenziale. Capace di descrivere in poche parole le atmosfere più
diverse e far vivere sulla pagina personaggi e caratteri che non si dimenticano
presto. Si rivela il giornalista di razza (una specie in via di estinzione, se
non già estinta), capace di una scrittura "di qualità".
Ecco: la "qualità" della scrittura è la cifra di Guido Mattioni.
La qualità della scrittura che è difficile trovare in un tempo come il nostro,
in cui lo scrivere è diventato un esercizio banale, un pigro costruire di frasi
con parole logore per il troppo uso. La qualità che distingue uno scrittore
da uno scrivente. Perché non basta scrivere per essere scrittori.
Soltanto il cielo non ha confini approda a una conclusione inaspettata.
Fatta di luci, di
odori, di ricordi. Proprio lì, sul confine, sotto un cielo che è lo stesso da una parte e
dall'altra del Rio Grande.
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