Gli accenti creano spesso
qualche problema a chi scrive. Succede
perché qualche volta a scuola non ce li
hanno insegnati bene e perché spesso si
leggono testi scritti senza attenzione, che
confondono le idee. Ma le regole da seguire
non sono molte; già in queste prime righe c’è
una buona parte degli accenti della lingua
italiana. Rivediamoli tutti insieme, così
il discorso è più chiaro:
perché – è
– più – già – però
– così
Incominciamo dalle regole
più semplici. Nell’italiano scritto l’accento
si pone sempre su tutte le parole tronche
composte da più sillabe (le parole “tronche”
sono quelle in cui la voce si appoggia sull’ultima
sillaba): onestà, caffè, pipì,
pagherò, laggiù. L’accento
che si usa sulle parole tronche è quasi
sempre “grave” (`), quello che
scende da sinistra verso destra. Vedremo
più avanti quando si deve usare l’accento
“acuto” (´), quello che va verso
l’alto.
Per i monosillabi, le
parole composte da una sola sillaba, la
questione è un po’ più complicata. La
regola generale è che l’accento non si
mette sui monosillabi. Si scrive dunque io
sto e non io stò; egli fu
e non egli fù;
Giovanna se ne va e non Giovanna
se ne và.
Però ci sono diversi
casi in cui l’accento è necessario per
distinguere monosillabi che si scrivono
nello stesso modo, ma hanno significati
diversi. L’esempio più comune: “e”
come congiunzione (Carlo e
Giovanna), si scrive senza l’accento,
che invece va di rigore su “è”, voce
del verbo “essere” (Giovanna è
bella). Un altro caso molto frequente è
da come preposizione (Carlo
va da Giovanna), che non va
confuso con dà, voce del
verbo “dare” (Giovanna dà una
sberla a Carlo).
Ma adesso sono io che
ti do una sberla, senza accento.
Un errore? No. Per consuetudine non si mette
l’accento su "do", voce del
verbo “dare”. Forse perché dal contesto
è difficile fare confusione con la nota
musicale do. Un’altra eccezione è fa,
voce del verbo “fare” (Giovanna fa
le valigie), che si può confondere con l’avverbio
(due ore fa) o con la
nota musicale. C’è poi fa’,
imperativo, che si scrive con l’apostrofo
e non con l’accento, perché l’apostrofo
indica l’elisione della “i” finale di
“fai”.
Vediamo altri casi
comuni. Il monosillabo “si” ha due
significati e quindi due diverse grafie.
Come pronome si scrive senza accento (si
dice che...); come avverbio
affermativo vuole l’accento (Stai bene?
Sì, grazie). La stessa regola
vale per “ne”: come pronome non vuole l’accento
(se ne parla), come
congiunzione lo pretende (né
questo né quello).
Appena più complicata è
la regola per il “se”. Quando è
congiunzione si scrive senza accento (se
te ne vai); quando è pronome è
obbligatorio metterlo (parlava tra sé).
Però si scrive se stesso,
senza accento, perché in questo caso non c’è
il rischio di fare confusione.
Nota: negli esempi di
questa pagina sono usati sia l’accento
acuto (é) sia l’accento grave (è),
a seconda dei casi. Nella prossima puntata
vedremo quando si deve usare l’uno o l’altro.
Ancora: qua
e là, qui e lì:
«Su qui e su qua l’accento
non va», dicevano i maestri di una
volta. Non ci può essere confusione. Mentre
là e lì, avverbi di luogo,
si possono confondere con gli articoli e i
pronomi che si pronunciano nello stesso
modo. Quindi vogliono l’accento.
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