Anche per gli e-book si comincia a parlare del "prezzo fisso" a 99
eurocent, sulla falsariga della scelta vincente (per la musica) compiuta
da Apple sul suo iTunes Store. Può essere un'idea, ma non è detto che
quello che ha funzionato per la musica funzioni ugualmente per i libri.
Una canzone pop è per sua natura trasversale e ha un pubblico, pardon,
mercato, non (troppo) vincolato da limiti linguistici.
Le persone ascoltano musica anglofona anche se per ordinare una bistecca
al sangue in un ristorante chiedono al cameriere una "bloody steak", ma
nessuno comprerebbe un libro che non è in grado di leggere. Dunque se il
mercato potenziale per la musica è di una certa dimensione,
quello degli e-book in italiano è enormemente, gigantescamente,
cosmicamente più piccolo.
Mancano, è evidente, i presupposti minimi in termini di mercato di
riferimento per usare il "microprezzo" come leva per la diffusione degli
e-book.
E che quella del prezzo (micro o macro, poco importa) sia una leva
sbagliata per "spingere" un libro è dimostrato dai "numeri" dei libri
veri. Quando (raramente) esce il best-seller si vendono milioni di
copie. Se, viceversa, si pubblica una fetecchia il libro
rimane sugli scaffali. Perché dovrebbe essere diverso con gli e-book? E
perché un bel libro, costato impegno, sacrificio e dedizione dovrebbe costare "poco"?
Il prezzo di un libro non è (soltanto) funzione dei costi di produzione
ma, soprattutto, indice di quanto il lettore è disposto a pagare per
fruire di un'esperienza intellettuale. O, detto in altre parole, è la
misura del rispetto che ha per lo scrittore. Specie nel caso dei libri
digitali, dove il costo di stampa non esiste.
E allora, pensare che il successo degli e-book sia legato allo
svilimento del valore di uno scrittore significa legittimare la
pubblicazione di spazzatura, o di qualcosa di peggio. In fondo, come
diceva qualcuno, milioni di mosche non possono sbagliarsi...
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