Giancarlo Livraghi ritorna sui problemi dei libri
elettronici con una serie di osservazioni che portano
a una conclusione forse paradossale. Ma non peregrina,
perché il caos del settore è totale. Un
approfondimento nei prossimi giorni (M.C.)
Avevo pubblicato, nell’ottobre
2010, alcune osservazioni su Le
malattie infantili degli “e-book”.
Che cosa è cambiato in cinque mesi?
Nulla. Né vedo alcun motivo per
cambiare idea su ciò che avevo
scritto. Ma ritorno sull’argomento
perché, alla luce dei fatti, la
situazione è ancora peggio di come
la vedevo.
Le “malattie infantili” sono probabilmente
inguaribili. Diventa sempre più evidente che la soluzione
non sta nel difficile tentativo di districare i garbugli.
È più facile – e più efficace – buttare via tutto e
ricominciare da zero. Visto che non si tratta di bambini,
ma di stupide macchine, non c’è alcuna crudeltà nel
desiderare una strage di questi “non innocenti”.
Peccato per chi, nel frattempo, ha comprato costosi
aggeggi. Diventeranno, comunque, inservibili quando ci
saranno soluzioni diverse. È andata bene per chi è
riuscito a vendere a caro prezzo arnesi di discutibile
qualità – ma forse un giorno avrà qualche problema a
ritrovare la fiducia di chi ci è cascato. Intanto
sembrano spente le fanfare di chi proclamava immensi
successi e (con statistiche false o male interpretate)
ripeteva una vecchia – e finora smentita – orribile
profezia: la morte della carta stampata.
Prima di proseguire, temo che sia necessaria una
premessa, perché l’argomento è piuttosto confuso. Che
cos’è, o che cosa “dovrebbe essere”, un e-book
reader? Non uno strumento per leggere in “in
elettronica”: quello esiste da più di trent’anni e si
chiama personal computer. Si deve trattare,
perciò, di un arnese diverso. Una macchina concepita per
poter leggere un libro “quasi altrettanto bene” di
come si fa con una copia stampata. L’idea è buona. Il
modo in cui, finora, è realizzata non funziona.
Non credo che esista una persona ragionevole disposta a
credere che qualsiasi aggeggio oggi immaginabile possa
essere “meglio” di un libro stampato. Ma ci possono
essere situazioni in cui è utile “qualcosa di
abbastanza simile”. Un problema è che la carta è
ingombrante e pesante. Chi viaggia spesso, e non vuole
rinunciare alla lettura, rischia di avere “bagaglio”
troppo grosso e di peso eccessivo. Ci sono anche altre
possibilità interessanti. Per esempio, può essere un
modo per fare arrivare un libro dove (o quando) non è
facile consegnare una copia stampata. O per riproporre,
senza il costo e l’impegno di una ristampa o di un’anastatica,
edizioni esaurite e difficilmente reperibili. Eccetera.
Insomma è desiderabile che, tolti di mezzo gli attuali
accrocchi, nasca davvero un ben fatto e-book.
Arrivare a una buona soluzione non è difficile, ma
richiede un radicale cambiamento di prospettiva.
Tecnologie al servizio dei lettori, non viceversa. Metodi
e macchine orientate alla qualità della lettura, non a
tecnomanie o a confuse e contraddittorie prepotenze
commerciali.
Mi è di aiuto un interessante articolo di Manlio
Cammarata, pubblicato il 14 marzo 2011: “Il
grafico impaginò la propria lapide e spirò”.
Errori (imperdonabili) di “grafica” scadente, con
effetti di scarsa leggibilità, si trovano purtroppo anche
in riviste e giornali – talvolta perfino in libri
stampati. Ma nel caso degli e-book la malattia è
cronica.
«Non è facile – osserva Manlio Cammarata
–
riportare su una pagina grigiastra di 9x12 centimetri
la struttura di un libro ..... perché ogni dispositivo di
lettura interpreta il contenuto a modo suo». E spiega
che «l’impaginazione la decide il software,
nonostante i ripetuti, frustranti tentativi di dare un
aspetto decente a titoli, sottotitoli, citazioni, note e
collegamenti ipertestuali». Il motivo è che «i
software attualmente disponibili per la conversione dei
formati sono ancora poco evoluti, per non dire
rudimentali. Aggirare gli automatismi con interventi “manuali”
richiede più tempo che scrivere il libro. Insomma, l’impaginazione
al tempo dell’e-book non è più quella di una volta. L’arte
di impaginare non abita più qui».
Cioè tutto ciò che abbiamo imparato in più di
cinquecento anni, dalla prima evoluzione dei libri
stampati (e anche, nei millenni, dalle origini della
scrittura) è sconosciuto a chi ha realizzato le
grottesche tecniche oggi disponibili per gli e-book.
E, quel che è peggio, sono concepite così male da
impedire una buona impaginazione. Tutto ciò che serve a
rendere gradevole e funzionale la lettura «scompare
nel libro elettronico. Il contenuto in partenza è “liquido”
e assume automaticamente la forma del contenitore, secondo
criteri che appaiono casuali, perché dettati da
ingegneri» che a tutto badano fuorché alla qualità
delle edizioni.
«Ogni e-book reader presenta lo stesso contenuto in
forma diversa. Le relazioni tra le dimensioni dei titoli e
del corpo del testo non comunicano immediatamente l’ordine
gerarchico e la sequenza degli argomenti. L’impaginatore
che volesse adattare l’aspetto del libro a ognuno dei
dispositivi dei più diffusi dovrebbe realizzarne molte
versioni. Con l’aggravante che i software oggi
disponibili spesso danno risultati imprevisti e impongono
ripetuti aggiustamenti».
In altre parole, con le tecniche finora disponibili è
estremamente faticoso, se non del tutto impossibile,
mettere nei dispositivi di lettura elettronica un libro
organizzato e impaginato in modo decente. Mi domando come
possa un autore permettere un tale maltrattamento della
sua opera – o un editore degno del suo ruolo
acconsentire a un tale scempio dei libri che pubblica.
Alla base di tutti questi problemi c’è il difetto
fondamentale dei sistemi oggi in uso: la proliferazione di
tecnologie “proprietarie” incompatibili fra loro. Come
già osservato nel precedente
articolo, questa scelta insensata giova al rapace
profitto (nel breve periodo) di pochi contro l’interesse
di tutti, rende impossibile uno sviluppo ragionevole ed
efficace dell’editoria elettronica ed è la principale
causa delle balordaggini tecniche (e culturali) di cui è
infestata.
«Alla fine della storia – conclude Cammarata
– detto tutto il bene possibile dei libri digitali,
ritorno con gioia ai miei vecchi tomi di carta. Tanti, mai
troppi. Ingombranti fino a diventare invadenti. Ma pieni
di una ricchezza comunicativa che il nuovo non ha e che
rischia di perdersi».
Egoisticamente, vista la mia inguaribile e ostinata
bibliofilia, potrei anche essere contento di questo
disastro. Ma non sono così miope. Amare
i libri vuol dire amarli tutti. Di carta o di coccio,
di panno o di seta, di papiro o di pergamena. Compresi
quelli fatti di bit e di byte, conservati in
memorie elettroniche, che non meritano di essere più
brutti, più scemi e più sgradevoli dei loro fratelli
maggiori.
A perseguitare l’infelice infanzia degli e-book
ci sono anche altri problemi. Come le confuse guerre sui
prezzi, sui modi per farseli pagare, sui diritti d’autore
e di edizione, in cui giocano gli interessi di tutti
fuorché di quelli che davvero contano: i lettori.
Nel marasma si possono nascondere varie
distorsioni. Per esempio si può supporre che nelle,
comunque pessime, tecnologie degli e-book
ci siano trappole nascoste, “spie” che controllano i
contenuti e li trasmettono al fornitore del dispositivo
ogni volta che è collegato alla rete. Che ci siano, è un
fatto. Che cosa siano, non è sempre chiaro. È probabile
che si tratti soprattutto di problemi “commerciali”.
Quando un libro è liberamente e gratuitamente disponibile
“non ci dovrebbero essere” intenzionali invadenze –
che si scatenano quando è a pagamento. Questo è un altro
difetto delle tecnologie oggi diffuse: non solo funzionano
male, ma sono anche assoggettate a interferenze arbitrarie
e abusive.
Ci vorrebbe un nuovo Aldo Manuzio, capace di pilotare l’editoria
anche nell’uso di nuove risorse tecniche. Ma occorre
togliere il timone dalle mani di chi ha tutt’altre
intenzioni (e nessuna competenza nell’arte di “fare
libri”).
Mi sembra evidente che, come dicevo all’inizio, la
soluzione migliore (forse l’unica possibile) sia buttare
via le cianfrusaglie e ricominciare daccapo. Dando
priorità assoluta alla qualità dei testi e delle
edizioni, soprattutto al servizio dei lettori, della
cultura, dell’umanità. Ogni altro modo di pensare e di
procedere non è solo distorto, inefficiente e inefficace.
È anche irrimediabilmente stupido.
Post scriptum
Credo che possa essere utile, per
inquadrare il problema, una breve
sintesi delle risorse disponibili e
di come si sono evolute. Mi scuso con
gli specialisti per la, forse
eccessiva, semplificazione – ma qui
si tratta solo di riassumere alcuni
fatti essenziali che possono
interessare a chi non ha il desiderio
di approfondire nozioni tecnologiche.
Lo sviluppo di “codici” per la
riproduzione e trasmissione di testi
risale al diciannovesimo secolo, in
particolare dopo l’invenzione del
telegrafo nel 1844. Oltre all’alfabeto
Morse, furono sviluppate tecnologie
alfabetiche con dispositivi meccanici
o “schede perforate” – risorse
che oggi possono sembrare “primitive”,
ma avevano una notevole
funzionalità. Nel 1927, con la
diffusione della radio, nacque l’alfabeto
verbale internazionale (alfa –
bravo – charlie eccetera)
tuttora in uso nella nautica, nell’aeronautica
e anche in altri sistemi di
comunicazione, per esempio (ma non
solo) in ambito militare.
Con lo sviluppo dell’elettronica
divenne evidente la necessità di un
“codice” che permettesse la
produzione e trasmissione di testi,
usando tutto l’alfabeto e i “segni
di interpunzione”. Dopo vari
esperimenti fu definito cinquant’anni
fa lo standard tuttora in uso, che si
chiama ASCII (American Standard
Code for Information Interchange).
Originalmente pensato per la lingua
inglese, fu poi evoluto in modo da
poter usare anche “lettere
accentate” e altre specificità di
diverse lingue. (Ovviamente ci furono
poi altri sviluppi fondamentali,
come, trent’anni fa, il “linguaggio”
html HyperText Markup Language
su cui si basa il sistema web).
Nonostante i limiti di una
tecnologia che produce solo “puro
testo”, si svilupparono divertenti
modi per usarla anche come “elemento
decorativo”, compresa quella ascii
art che oggi è in disuso, e
purtroppo dimenticata, ma merita di
essere ricordata come esempio di
brillante e ingegnoso artigianato. Ce
ne sono alcuni esempi nel capitolo
50 di L’umanità dell’internet
e molte collezioni che non è
difficile trovare online (come, per
esempio, questa).
Quarant’anni fa con il “Progetto
Gutenberg” nacquero, in ASCII, i
primi “libri elettronici” (nel
1994 in Italia l’analogo “Progetto
Manuzio”). Un gran numero di
libri è e rimane liberamente
disponibile in quel modo, con un solo
limite: si tratta di “puro testo”,
senza impaginazione.
Non mancano le risorse per
risolvere questo problema. Sono state
sviluppate varie tecnologie che
permettono di impaginare
efficacemente un testo, anche un
intero libro. La, meritatamente, più
diffusa si chiama PDF (Portable
Document Format). Esiste da vent’anni.
Era ed è “proprietà” di Adobe,
ma si è evoluta fono a diventare, di
fatto, aperta e liberamente usabile
da tutti. Funziona bene e produce
buoni risultati. Si dice che i testi
pubblicamente disponibili in pdf
siano più di un miliardo. E non è
il caso di dimenticare che è quella
la tecnologia in uso per la
produzione dei molti libri stampati
che si consegnano alle tipografie “in
elettronica”.
Uno dei miei libri (Il
potere della stupidità in
italiano e in inglese) è online in
quel formato (altri, almeno per ora,
solo in html – per il banale motivo
che non ho avuto il tempo di
ristrutturarli in pdf).
Esistono, ovviamente, altre
tecnologie, più o meno valide. Ma
poiché pdf è “lo standard di
fatto”, in attesa che si sviluppino
e si diffondano eventuali altre
risorse altrettanto “aperte” e
facilmente gestibili, una soluzione
di palese buonsenso sarebbe usare
quella che c’è anche nell’ambito
dei sistemi che offrono una lettura
“simile a quella di un libro
stampato”.
Invece no. Orientarsi nella
giungla degli aggeggi diversi e
disparati non è facile, ma se ho
capito bene ce n’è uno solo che
permette di leggere in quel modo un
pdf. Vuol dire che conviene comprare
quello? Credo di no. Per chi non ha
motivi di “urgenza” conviene
aspettare che il quadro diventi meno
confuso.
Un problema è anche la
dimensione. Non tutti i dispositivi
esistenti obbligano a una misura di
9x12 centimetri, più piccola di un
libro “tascabile”. (Per non
parlare della lettura nel minuscolo
schermo di un telefono cellulare).
Non so se ce ne sia solo uno di
dimensioni più ragionevoli, oppure
pochi, ma è chiaro che la gamma
disponibile offre scarse alternative
di accettabile qualità. E comunque
rimane un problema la proliferazione
di tecnologie diverse e la mostruosa
difficoltà, se non impossibilità,
di impaginare “come si deve” un
libro in ciascuna di quelle varianti.
Un altro elemento di confusione è
la proliferazione di proposte online
che chiamano e-book cose
diverse. “Nella migliore delle
ipotesi” sono libri in pdf (in
questo caso la definizione e-book
non è concettualmente impropria) ma
troppo spesso sono tutt’altro:
frammenti o raccolte di testi trovati
in rete o in altro modo copiati (non
sempre indicando correttamente la
fonte) che possono essere letture
più o meno interessanti, ma non sono
libri.
Ad abundantiam ci sono
anche tecnologie che permettono di
“fotocopiare” un libro, con
risultati di buona qualità,
conservando l’impaginazione e tutte
le caratteristiche dell’edizione
stampata (cioè producendo quella che
nell’editoria tradizionale si
chiama una “anastatica”). Una
risorsa interessante per il recupero
di edizioni antiche, rare o comunque
difficilmente reperibili. Insidiosa
per chi si sente minacciato dalla
riproduzione “non autorizzata” di
libri ancora in commercio.
Insomma il marasma è crescente.
Ovviamente ognuno è libero di
inventare tecnologie come vuole, ma
il sistema può solo peggiorare, con
tendenza a suicidarsi, se si
continuano a moltiplicare arnesi e
software inadeguati e incompatibili.
La soluzione più ragionevole, all’attuale
stato dell’arte, è basarsi sulla
risorsa meglio maturata e più
diffusa: pdf. Se poi ci potranno
essere ulteriori miglioramenti, tanto
meglio – a condizione che siano
tutti compatibili e liberamente
utilizzabili, senza i vincoli e le
distorsioni che stanno soffocando i
neonati “nuovi e-book”
prima che un’autentica editoria
elettronica abbia la possibilità di
respirare.
Post scriptum 2 (05.04.11)
Un'altra prospettiva
Un’osservazione molto semplice,
ma rilevante, è che un testo “in
elettronica” offre un vantaggio di
consultazione. Perciò chi ha l’edizione
stampata di un libro può desiderare
di averne anche una copia “elettronica”
(o di poterla leggere online) per
trovare più facilmente la pagina e
il paragrafo in cui si tratta di un
particolare argomento. Pochi libri
hanno un buon indice analitico. In un ebook
la funzione “cerca” lo può
sostituire. Ma, in questo caso, non
ha alcuna importanza il “formato”.
Può bastare anche un semplice testo
“ascii” e va bene anche qualsiasi
altra tecnologia.
È molto più complesso il
problema degli e-book
concepiti per essere letti. I nuovi reader
sono impostati in modo da dare al
lettore la possibilità di impaginare
come vuole. Ridurre o ingrandire il
carattere, modificare spazi e
dimensioni. Vuol dire, in pratica,
distruggere l’impaginazione ed
eliminare tutte le impostazioni
volute dall’autore, editore o
redattore per equilibrare evidenze e
significati.
Questo problema è sempre esistito
anche per i libri stampati. Quando si
cambia il “formato” di un’edizione,
ci sono due possibilità. Impaginare
bene il libro nelle sue nuove
dimensioni e caratteristiche – o
meccanicamente ridurlo “come capita”.
La seconda soluzione risparmia una
risorsa impegnativa e costosa, il
lavoro umano. Perciò, un po’
troppo spesso, si ricorre ad
automatismi approssimativi o a
persone di scarsa competenza. Il
risultato è una proliferazione di
edizioni scadenti.
Può essere esagerato pensare che
ogni autore debba riscrivere ogni
libro per poterlo pubblicare con
qualcuno degli attuali e-book
reader, ma comunque si rende
necessaria una revisione piuttosto
impegnativa.
Come potrebbe, tutto il sistema,
uscire da un’infelice infanzia ed
avere un’evoluzione meno confusa?
È difficile immaginarlo. Idealmente,
bisognerebbe riuscire a distinguere
fra due opposte esigenze dei lettori.
Quelli che preferiscono leggere un
libro “così come lo ha concepito l’autore”
e quelli che considerano prioritario
ri-impaginarli come vogliono. E
perciò (l’ipotesi, almeno per ora,
è astratta) rendere disponibili due
specie diverse di e-book (e
relativi reader). Arrivare a
una maturazione culturale di quel
genere non è semplice – e comunque
richiederebbe parecchi anni.
(Per la prima soluzione ci si può
basare, almeno per ora, su buone
risorse disponibili e ben evolute,
come pdf. Per la seconda, occorrerà
uscire dal puerile conflitto di
troppe tecnologie immature,
pasticciate e pasticcione).
Già oggi, è ora di superare la
“moda”. Adattare le tecniche alle
esigenze umane e culturali. E
comunque uscire dalle prigioni delle
incompatibilità per avere sistemi
gestibili erga omnes.
Chi sarà meglio capace di
offrirci soluzioni che si avvicinano
a quell’obiettivo? È impossibile
prevederlo. Non resta che osservare
gli sviluppi senza divagazioni
trionfalistiche, verificarli con
serietà, concretezza e una buona
dose di “sana diffidenza”. E
intanto continuare a considerare il
libro stampato come la soluzione
migliore, se non l’unica di vera
qualità – e l’e-book
come un accessorio per quelle
circostanze (come viaggi, vacanze
eccetera) in cui è più comodo. O
come un modo meno costoso (e senza
ingombro negli scaffali) per dare un’occhiata
a un libro prima di decidere se vale
la pena di comprarlo.
Ci possono essere anche situazioni
in cui un lettore preferisce avere un
libro solo in forma “elettronica”.
Perché non ha alcuna intenzone o
desiderio di leggerlo, gli serve solo
per occasionale consultazione. O per
altri motivi secondo le esigenze di
ciascuno. Non ci devono essere limiti
alla varietà delle preferenze
personali, ma risorse adatte alla
libera scelta di tutti. Un’impostazione
fondamentale per ogni genere di
tecnologie, poco e male rispettata da
molti dei sistemi più diffusi.
Ma anche per usi “ragionevolmente
limitati” come questi occorre una
seria qualità degli strumenti. Gli e-book reader
finora esistenti, è necessario
ripeterlo, sono rozzi, inadeguati e
funzionano male. Con idee chiare,
buon senso e serio impegno, soluzioni
migliori si potrebbero realizzare in
pochi mesi. Con l’andazzo attuale
è probabile, purtroppo, che i tempi
siano più lunghi.
* gian @ gandalf.it -
L'articolo originale è qui.
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