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Religione, bontà, etica, morale e cucina al Salone del libro

Quest'anno non ero a Torino. Mi sono perso qualcosa?

In primo piano - 13 maggio 2014
Anche quest'anno si è conclusa la liturgia del Salone di Torino. "Liturgia" non solo in senso metaforico, perché in questa edizione l'ospite era la Santa sede. C'era una sala tutta bianca per parlare di religiosità e di spiritualità.

E Susanna Tamaro, madrina di questa edizione, con una prolusione "centrata sul fatto che nel relativismo rassegnato in cui viviamo occorre tornare a ripristinare una linea ben definita di demarcazione tra bene e male, perché si può crescere solo accettando questa sfida..." (dal discorso di apertura di Ernesto Ferrero, direttore della manifestazione).
Mi sembra di sentire un grido levarsi dal web: «No, per favore, Susanna Tamaro no!». Sono d'accordo, parliamo di altro.

Quest'anno non mi è stato possibile andare al Lingotto. Così ho seguito il Salone attraverso le notizie e i commenti on line e alla TV. Con buona pace del già citato Ferrero:

"Abbiamo bisogno di concretezza anche fisica, gestuale, di contro alle astrazioni di una realtà virtuale che è sempre meno realtà e finisce per isolarci in nuove solitudini. Il mondo dei social network a me sembra un mondo di solitari che gridano nella vana speranza che qualcuno li ascolti, ma non si può chiedere ascolto agli altri se noi per primi non siamo capaci di ascolto. Il Lingotto dice una cosa radicalmente diversa: qui quando si parla e si discute ci si guarda negli occhi. Meglio vedersi di persona che contrabbandare via smartphone o tablet un’immagine fittizia di sé."

Forse Ferrero ha ragione. Il Salone come "realtà virtuale" mi è sembrato una processione, pardon, una sfilata di prelati, ministri, personaggi televisivi, intellettuali a tempo pieno o part-time. E di cuochi, anzi di chef. Perché nel Salone della spiritualità c'era anche posto per i piaceri della carne, con uno spazio importante dedicato alla cucina.

Così si rivela il difetto fondamentale di questa edizione (e forse non solo di questa). E' noto che i soli libri che "tirano" in questo periodo sono quelli che parlano del Papa e le ricette di cucina. Ed ecco il Salone... cucinato sulla misura del mercato editoriale.
Ma seguire le mode non serve a costruire il futuro.

In Italia si deve rilanciare il libro per quello che è. Occorre promuovere la letteratura e incoraggiare la lettura. Preghiere e ricette non si leggono: si recitano o si eseguono. E  in questa, forse più che in altre edizioni, ci sono stati tutti i protagonisti possibili, tranne "il libro".

Il libro di qualità. Il libro che resta nella biblioteca domestica o nella memoria dell'e-reader, la lettura come nutrimento del pensiero. Invece ho visto, nella puntata di domenica scorsa di Che tempo che fa, Fabio Volo dal Salone che sproloquiava di libri alla rinfusa e faceva passare la voglia di leggere anche a uno come me.

Poi si lamentano che in tre anni la vendita di libri è calata del venti per cento. Che un best-seller vende poche migliaia di copie. Che gli ebook crescono. Qualcuno arriva a dare al Kindle la colpa della chiusura di tante librerie. Il conto non torna: se gli ebook rappresentano solo il tre per cento del mercato, come possono causare una perdita di oltre il sei per cento, quest'anno, nella vendita dei libri di carta?

Si dice che è colpa della crisi economica. In parte può essere vero. Ma la vera crisi del libro è la crisi della qualità. Se si pubblicassero libri migliori, forse ci sarebbero più lettori. Tante brave persone che vorrebbero leggere un buon libro, ma trovano solo salmi e ricette. O banali esercizi di scrittura di personaggi della TV.

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