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La lezione dell'International Self Publishing Festival di Senigallia

Gli editori di se stessi si guardano allo specchio

Self-publishing - 23.10.13
Un fine settimana di parole. Parole dette e parole scritte in bit, con l'inchiostro elettronico sulla carta elettronica. Direttamente dagli autori invece che attraverso i signori della carta. Un mondo nuovo, da capire.
19 e 20 ottobre 2013: il primo festival italiano dell'autopubblicazione è già storia. Si è tenuto in un luogo suggestivo, il Foro Annonario di Senigallia, che in qualche modo dava l'idea fisica di un mondo che chiamiamo "virtuale". Quello dei libri elettronici. Davanti, una piazza circolare nata come mercato, con tanto di bancarelle e imbonitori su un palco. Dietro, nel grande spazio di una storica pescheria, l'esibizione a ruota degli autoeditori in cerca di visibilità: protagonisti dietro le quinte (che ossimoro!) del palcoscenico del self-publishing.

Il self-publishing è una delle tante "rivoluzioni" del nostro tempo tecnologico. Uno di quei fenomeni che esplodono da un momento all'altro (avete presente Facebook, Twitter e simili?), ma non si fa in tempo a inquadrarli perché dopo un attimo sono già cambiati. 

Uno che ha capito il self-publishing prima degli altri è il vulcanico Antonio Tombolini, patron di Simplicissimus Book Farm e dei siti collegati: Ultima Books, la libreria on line; Stealth, la piattaforma per gli editori; Bookmaker per il print on demand e via elencando. Nonché dello spazio per il self-publishing, chiamato con sottile perfidia Narcissus.me.
Tombolini e la sua banda di matti hanno organizzato il festival di Senigallia, che  ha dato del self-publishing l'immagine più nitida che oggi si possa vedere.

Davanti, come ho scritto all'inizio, c'era la realtà culturale e commerciale di questo fenomeno. Dietro si agitava il variegato mondo degli autori autopubblicanti. I grandi scrittori incompresi (tranne che da parenti e amici), quelli che scrivono per dimostrare a se stessi che sono Autori o che hanno idee geniali, quelli che scrivono perché forse hanno qualcosa da dire, ma spesso non sanno scrivere. E anche qualcuno che avrebbe le idee e la capacità di tradurle in parole, ma non sa trovare un editore. 

Il self-publishing è tutto questo. E' figlio legittimo della Vanity Press del tempo della carta, quella degli APS, gli Autori a Proprie Spese del Pendolo di Foucault di Umberto Eco.
Ma è anche di più. Perché il ciclo vitale del libro di un APS è breve: inizia con l'omaggio del volume ad amici e parenti e finisce con il malinconico riacquisto delle copie che hanno inutilmente occupato per qualche mese gli scaffali di poche librerie.
Invece il ciclo dell'ebook non ha limiti né di tempo né di spazio. Né, soprattutto, di pubblico.

Non voglio ripetere quello che ho scritto un anno fa in Dall'Autore a Proprie Spese all'Editore a Zero Spese. Ma è evidente che il primo effetto dell'autoedizione a zero spese è un'infinita poltiglia di parole, un fiume gonfio e torbido di pagine elettroniche. Sul cui fondo, però, si possono trovare anche pepite d'oro.
Ma chi si arma della pala e del setaccio per andarle a cercare? Lo scouting nella foresta vergine delle autopubblicazioni digitali appare molto difficile.

Un punto deve essere chiaro: la Rete come talent scout può prendere grossi abbagli. Può decretare il successo di paccottiglia pseudo-letteraria, come le più o meno cinquanta sfumature di erotismo per casalinghe insoddisfatte, mentre un nuovo Gattopardo può rimanere ignorato sugli scaffali telematici. Magari perché il suo autore-editore non ha saputo fare la copertina giusta, o non è riuscito a promuoverlo sui social network.

Il futuro dell'editoria non può essere in un'incongruente bancarella come quelle che abbiamo visto a Senigallia. Bancarelle sulle quali non si può esporre una merce, perché il libro elettronico e la sua filiera sono immateriali. Né può essere nei percorsi editoriali consolidati, troppo lenti per il ventunesimo secolo. Un grande editore può impiegare anche un anno per pubblicare un libro. Un autoeditore vede la sua opera in vendita poche ore dopo averla finita.

Qualche editore tradizionale ha accettato la sfida e ha aperto una porta al self-publishing. Penguin Books è stato il primo, accolto da sopracciglia aggrottate in segno di disapprovazione. Mondadori ha annunciato da un paio d'anni una sua piattaforma e l'ha affidata a un editor coi fiocchi: quell'Edoardo Brugnatelli che ha scoperto Roberto Saviano e ha inventato la collana Strade Blu, ovvero "la scrittura come un'avventura che vi porterà lontani dalle autostrade dell'ovvio".

A Senigallia l'intervento di Brugnatelli era forse il più atteso. Ed è stato il più applaudito (a parte la pirotecnica esibizione di Alessandro Bergonzoni). Provocato con intelligenza da Ciccio Rigoli, il "bravo presentatore" della casa, Brugnatelli ha descritto senza tante perifrasi il difficile rapporto che c'è oggi tra editoria tradizionale e self-publishing. E ha spiegato a un pubblico forse ancora un po' illuso che cosa significa la pubblicazione di un libro da parte di un editore vero.

Di nuovo ci ha assicurato che il decollo della piattaforma Mondadori per il self-publishing è questione di settimane. Lo ripete da un paio d'anni, se non sbaglio, e dunque accettiamo la promessa con beneficio di inventario.
Una cosa Brugnatelli non l'ha spiegata (o forse io non l'ho capita): come si possono applicare i criteri di selezione che sono il fondamento del lavoro di editore a un fenomeno naturalmente "orizzontale" come il self-publishing.

Invece è stato molto chiaro quando ha illustrato le qualità che deve avere uno scrittore per essere scelto da un editore. Tra le quali, Brugnatelli non ha dubbi, è essenziale il culo.

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