Ancora i dubbi di Giancarlo Livraghi,
con tante osservazioni che fanno riflettere (anche se non
tutte sono da condividere). In attesa delle prossime puntate.
E dei prossimi hardware e software e del calo dei prezzi.
Perché siamo solo agli inizi (M.C.)
Può sembrare bizzarro questo mio
scrivere “a puntate”, come un
tempo si faceva con i romanzi. Spero
che i lettori non lo trovino
fastidioso. Un giorno, probabilmente,
raccoglierò tutto in un solo testo
più organico. Ma non so quanto tempo
ci vorrà per arrivare a una
ragionevole “maturazione”.
Intanto l’argomento è
“fluido”, confuso, aggrovigliato.
L’evoluzione è incerta e
disorientata.
Non è irragionevole seguire un
percorso inevitabilmente intriso di
dubbi, condizionato da un graduale
apprendimento – e basato, per
quanto possibile, sui fatti, non su
vaghe ipotesi o azzardate
elucubrazioni di chi ha scarsa
esperienza pratica.
Questa è la terza
“puntata”. Le prime due sono:
Le
malattie infantili degli “e-book”
– ottobre 2010
Far
morire gli e-book perché possano
nascere – marzo 2011
(con due parti aggiunte poi come post
scriptum).
Il titolo di questo mio terzo (o
quinto) capitolo deriva dalla
rinnovata serie di testi che pubblica
Manlio Cammarata, con cui è in corso
un dialogo che aiuta ad approfondire
– e anche a mostrare come ci
possano essere, giustamente,
differenze di opinione.
Li raccoglie in una serie
intitolata Questa
balorda fase di sviluppo degli e-book
e spiega così il motivo. «Incomincia
qui una breve esplorazione della
“filiera” dell’e-book. Per
capire che cos’è un e-book e quali
sono i problemi di questa prima fase.
Che Giancarlo Livraghi considera
“balorda”. E sotto molti aspetti
coglie nel segno».
Il suo punto di vista e il mio
sono diversi. E proprio questo rende
il dialogo interessante. Manlio
Cammarata si concentra specificamente
sul “mondo degli e-book” come
“addetto ai lavori”, pioniere
concreto di un’ipotetica nuova
editoria elettronica. La mia
prospettiva e un’altra. Ragiono
soprattutto come lettore. Anche,
ovviamente, come autore – e, in più,
mi baso su conoscenze pratiche di
editoria, fin dai tempi in cui,
mentre studiavo all’università,
lavoravo come bibliografo e
bibliotecario. Esperienza che poi è
continuata, in vari modi, per tutta
la mia vita. Le nostre origini
culturali sono simili. Giornalismo,
comunicazione, scrittura. Tutti e due
siamo in rete dall’epoca, che
sembra remota, in cui si andava per
bbs. Tutti e due abbiamo un sito web
da quindici anni. Ma lui ora si sta
affezionando agli e-reader,
nonostante le loro malattie
infantili. Io continuo a diffidarne
– anche se la mia inguaribile
bibliofilia non è mai stata
“condizionata dal supporto”.
Così ritorniamo al punto di
partenza. Che cos’è un e-book?
La definizione tecnica (come
spiegato da Cammarata) è questa. «Quando
parliamo di e-book, non parliamo di
un libro riprodotto in qualche modo
su un computer, ma di una nuova forma
di libro, con particolari
caratteristiche di rappresentazione
del testo». Cioè «Il vero
e-book è nato un paio di anni fa,
grazie a una tecnologia nuova e
ancora oggi poco evoluta: quella
della “carta elettronica” (e-paper)
o dell’“inchiostro elettronico”
(e-ink)».
Ma è inevitabile che la
definizione sia un po’ confusa. La
maggior parte delle persone non bada
alla precisione tecnica. È facile
pensare che “e-book” e “libro
in elettronica” siano la stessa
cosa.
Non è solo un problema lessicale.
Se si vuole restringere la
definizione a una particolare
tecnologia (ancora balbettante e mal
funzionante) che potrebbe essere in
qualsiasi momento superata da
un’altra, occorre comunque capire
in termini più ampi l’evoluzione
generale del “libro non stampato”
(evitando, spero, di usare un
aggettivo ambiguo come “digitale”).
Più che badare al vocabolario, è
importante chiarire di che cosa si
sta parlando. Come ho già scritto,
varie volte, in altri casi, quando si
pone la socratica domanda ti estì
si rischia la cicuta. Ma spero di
poter continuare a cercare di capire
senza che si apra l’armadietto dei
veleni.
In modo un po’ grossolano, in
questa fase dell’evoluzione,
potremmo distinguere tre categorie di
libri “non di carta”.
- Quelli che ci sono da
quarant’anni e offrono una varietà
di risorse. Dal “puro testo”, che
ognuno può leggere così com’è o
impaginare (e stampare) come
preferisce, ai vari sistemi di word
processing. Dal “generico ma
efficace” pdf a forme più evolute
che permettono di fare edizioni
anastatiche. Basterebbero quelle
tecniche, con le loro possibili
evoluzioni, se non ci fosse la nuova
proposta della “carta
elettronica” che (si dice) ha una
leggibilità paragonabile alla carta
stampata.
- I cosiddetti tablet.
Esistono da dieci anni. (Che fine
hanno fatto, intanto, i
“palmari”?). I tablet sono
“arnesi da viaggio”, per quando
si ha bisogno di uno strumento
leggero e poco ingombrante. Sono
follemente costosi (più dei
computer) e considerati “cose da
ricchi”. I sostenitori dei
“nuovi” e-reader dicono
che sono superati, perché non
offrono né e-paper né e-ink.
È probabile che nella confusa
evoluzione delle tecnologie siano un
episodio, in attesa di una
“convergenza” che offra
un’equilibrata gamma di scelte
secondo le esigenze dei lettori.
- E ora, da due anni, c’è la
malaticcia infanzia di quelli che
“vorrebbero essere” gli unici a
meritare di chiamarsi e-book.
Hanno l’ambizione di proporsi come
progenitori di una, non meglio
identificata, “nuova editoria”
– di cui finora non si vedono
neppure le pallide luci dell’alba.
Prima di proseguire, apriamo una
parentesi. Nel già citato articolo,
Manlio Cammarata ironicamente scrive:
«I cultori del libro
tradizionale, come l’amico
Giancarlo Livraghi, si disperano.
Dove è andata a finire l’arte di
impaginare?»
L’amichevole provocazione merita
una risposta. È vero che sono
affezionato ai libri stampati –
soprattutto per leggerli, ma anche
come oggetti che mi fanno
un’insostituibile compagnia. Ma non
sono “cultore esclusivo” di alcun
modo di fare libri. Sono convinto
(come ho sempre detto e scritto) che
“amare i libri” vuol dire capirli
in tutte le loro forme. Dal rotolo di
papiro al manoscritto su pergamena,
dal testo inciso nel marmo a ciò che
leggiamo e scriviamo con un computer.
Certamente non mi “dispero” per
il “balordo sviluppo” degli
e-book. Se fossi maligno, potrei dire
nunc est bibendum, come Orazio
in morte di Cleopatra – e gioire
del loro fallimento. Ma, al
contrario, preferirei che guarissero
delle malattie infantili e
diventassero, davvero, un altro modo
utile per leggere. Permettendo una
ragionevole “arte di impaginare”,
oggi resa difficilissima, se non
impossibile, dalle rozze tecnologie
degli e-reader.
Nelle leggende che circondano gli
e-book ci sono alcune fondamentali
contraddizioni. Si dice che (grazie a
e-paper ed e-ink) sono
“come un libro stampato” (o
addirittura, in certe condizioni di
luce, “meglio”). Ma
contemporaneamente gli aggeggi oggi
disponibili costringono a
“disimpaginare” per evitare che
un libro, prodotto in quel modo,
diventi illeggibile. Non è ancora
possibile capire se ci si sta
avvicinando all’intenzione
originaria, una realizzazione in
“similcarta” dei libri così come
li conosciamo – o se stia nascendo
una difficilmente definibile “nuova
editoria”. Da questa impasse
bisognerà trovare una via
d’uscita.
Per cominciare, bisognerebbe
definire un “formato”. Per andare
incontro ai desideri dei lettori,
forse potrebbero essere più di uno.
Ma pochi (è necessario che siano più
di due?) e ragionevolmente
“standardizzati” per evitare di
dover fare troppe impaginazioni
diverse o di subire la violenza di
una destrutturazione, che può solo
rendere più difficile e faticosa la
lettura o togliere ad autori, editori
e redattori la possibilità di
“costruire” il libro come
vogliono.
Come già osservato nelle
“puntate precedenti”, un fattore
inquinante è il prezzo. Tutti gli e-reader
sono troppo cari, anche in
quell’assurda dimensione
“9x12cm” che è inutilmente
piccola. Quelli di dimensioni un
po’ più ragionevoli hanno prezzi
ancora più esagerati. Così c’è
un’altra infezione che complica il
quadro clinico delle “malattie
infantili”.
Se non si risolvono questi
problemi, non andiamo verso una
“nuova editoria”, ma rischiamo di
fare un drammatico salto indietro nel
tempo, a cinquecento o cinquemila
anni fa, quando un copista sbagliava
a copiare, pasticciava
l”ortografia, scriveva senza
punteggiatura, non metteva spaziature
fra le parole, eccetera. Oggi i
guasti sono diversi, ma il rischio è
lo stesso: la mancanza di una cultura
del “fare libri”. Già nei libri
stampati, purtroppo, c’è un
degrado. Con gli automatismi tecnici,
è peggio.
Stranamente, si può rischiare
anche di cadere nella sciocca
malattia che affligge troppi siti
web, con l’invadenza di balordi
“effetti grafici” a scapito dei
contenuti e della leggibilità. Nulla
che possa remotamente somigliare al
fascino artigianale di un poco
leggibile, ma esteticamente
splendido, codice miniato.
Le tecnologie non aiutano. Quelle
dei “nuovi e-book” si basano su
elaborazioni ancora immature,
provvisorie, male evolute e mal
funzionanti – che creano molti più
problemi di quanti ne possano
risolvere. Insomma siamo alle solite:
tecnologie pensate secondo la logica
unilaterale degli ingegneri, senza
badare alla funzionalità per quello
che dovrebbero fare.
Ad abundantiam c’è il
problema del plagio. Che è sempre
esistito, ma con la facilità del
“copia e incolla” si è
moltiplicato.
Non si tratta dei soldi, cioè del
dibattuto “diritto d’autore”.
Ma del furto di pensiero e di idee
– o, peggio, deformazione.
Inseguire tutti i copiatori o
manipolatori è impossibile – ma
almeno è opportuno che ci sia un
“testo certo di riferimento”,
come può essere assicurato da un
libro stampato con il consenso e la
verifica dell’autore.
Alcuni laudatores delle nuove
tecnologie si entusiasmano all’idea
di libri “condivisi”, che ognuno
cambia come gli pare. Se è un gioco
in cui tutti partecipano d’accordo,
o un palese scherzo su opere ben
note, può essere divertente. Ma
quando diventa manipolazione non bene
identificabile come tale, aperta a
ogni forma di inganno o di stupidità,
il risultato può essere mostruoso.
Con i “nuovi e-book”
l’imbroglio è facile? Pare di no.
Ma è sempre meglio tenere gli occhi
aperti quando si aprono troppe
possibilità a incauti o maligni
“copisti”.
E soprattutto – al centro del
vortice marasmatico c’è la
sciagura del walled garden, il
“giardino cintato”. Roba da
feudalesimo medioevale. Il risultato
è che non solo gli e-reader
sono grottescamente cari, ma anche
incompatibili fra loro.
Ci vuole una rivoluzione
copernicana. Mettere al vertice di
ogni sviluppo o esperimento le
esigenze dei lettori e la qualità
dei libri. L’umanesimo e la
cultura. Non abborracciate tecnologie
– né miopi, quanto rapaci, pretese
di chi sta vendendo discutibili
accrocchi a prezzi da gioielleria.
Intanto, per fortuna, ci sono i
libri di carta. Che nulla,
all’attuale “stato dell'arte”,
può sostituire. Con tutto il
rispetto e la simpatia per ogni altra
possibilità che possa nascere,
questa è una constatazione
confortante.
* gian @ gandalf.it -
L'articolo originale è qui.
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